Estratto dell’articolo di Rino Giacalone per www.lastampa.it
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Nel raccontare oggi la mafia trapanese dobbiamo partire dalla lezione che ci hanno lasciato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che con Cosa nostra trapanese avevano fatto bene i conti. […] I due magistrati, Falcone e Borsellino, segnavano una profonda differenza tra la mafia palermitana e quella trapanese: la prima, dicevano, era quella militare, la seconda quella economica.
La prima è stata più facile da colpire, ma non è sconfitta e non finisce nelle tombe come i boss; la seconda ancora primeggia nonostante arresti, condanne e decine di provvedimenti di confisca, che nel trapanese superano il cinque miliardi di euro. A Trapani la mafia economica è rimasta nelle mani di Matteo Messina Denaro, sin da prima di quel 1993, anno dell’inizio della sua latitanza […] mafia non violenta che, sotterrate le armi, usa la corruzione e vende i suoi voti. La mafia delle imprese e delle banche a Trapani ha trovato un humus perfettamente adatto al suo sviluppo.
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Trapani la città di certe banche e banchieri. Sulla Banca Sicula della famiglia D’Alì, grandi latifondisti e datori di lavoro dei Messina Denaro, campieri nei loro terreni di contrada Zangara di Castelvetrano, il cui esponente più noto è l'ex senatore e sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2006 Antonio D'Alì - in carcere ad Opera da dicembre scorso per scontare una condanna a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa – indagò nel 1991 il vice questore Rino Germanà, due anni dopo scampato a un agguato organizzato da Bagarella, Graviano e Messina Denaro. Più recente il caso della Cassa rurale di Paceco, finita nel 2016 sotto amministrazione giudiziaria per l'ipotesi di collegamenti con la massoneria e alcuni soggetti pregiudicati per reati di mafia.
Trapani, città delle finanziarie dove si sarebbe raccolto denaro sporco che – ripulito – è servito come garanzia per i mafiosi presso le city finanziarie europee. Nei primi anni 2000 la mafia era pronta a lanciare una banca tutta sua, ma l’operazione è stata mandata all’aria da un’indagine della Squadra mobile guidata dall’odierno direttore del Servizio centrale anticrimine, Giuseppe Linares, e coordinata dal pm Andrea Tarondo, una di quelle intelligenze investigative più attente al fenomeno mafioso, di fatto spinto a occuparsi oggi di ben altro, all’estero, lontano dall’Italia. Qui la mafia non è la Cosa nostra dei viddani, ma la mafia dei borghesi.
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[…] Questa mafia ha sempre avuto una precisa capacità della sommersione che funziona ancora oggi. È tanto legata alla massoneria da averne assorbito anche le caratteristiche organizzative. Mafiosi affiliati alla massoneria ne esistono tanti, ma il più importante fu il mazarese Mariano Agate tra gli iscritti alla loggia segreta C creata all’interno del circolo culturale capeggiato da un professore di filosofia, Gianni Grimaudo.
Un circolo ben frequentato, anche da magistrati e giudici, pronti a colpire il lavoro onesto di loro colleghi, alcuni dei quali uccisi da Cosa nostra, come Gian Giacomo Ciaccio Montalto.
Non c’è indagine ancora oggi condotta dalla procura di Trapani che non si imbatta in personaggi della massoneria. In Tribunale è in corso il processo denominato Artemisia, imputati di aver creato una loggia segreta un pugno di politici di Castelvetrano, capeggiati da un ex deputato Giovanni Lo Sciuto, amico di gioventù di Messina Denaro. E ci sono inchieste che oggi dimostrano come la magistratura continui ad avere un ventre molle che permette pericolose infiltrazioni: non si spara più, ma ancora oggi finiscono nell’occhio del ciclone i magistrati che lavorano correttamente e non i traditori o i corvi.
[…] A Trapani ci sono i colletti bianchi che parlano di Messina Denaro come di una persona da adorare e venerare. Un boss da far sindaco o addirittura premier. Questa non è una terra normale. Sembra di essere dentro la sceneggiatura della Piovra televisiva , non a caso scritta da un trapanese, Nicola Badalucco.
[…] Gommopoli-Trapani resta il luogo ideale per coltivare equivoci che danno forza alla “nuova” mafia. La città si prospetta non sempre in modo lucido dinanzi a una mafia capace di invadere la politica, la pubblica amministrazione e l’economia. La lotta contro Cosa nostra più che a Palermo si combatte qui, dove si sequestrano e confiscano i beni, dove i politici continuano a non rispettare la "distanza di sicurezza dai mafiosi" e "dalla massoneria", sale della minestra preparata in stanze segrete, servita ai trapanesi come la migliore e invece la più avvelenata
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