“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi” (http://www.stefanolorenzetto.it/pulci.htm )
VOTAZIONE PER ELEGGERE GIUDICE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Riferendosi alla Corte costituzionale nella rubrica Il punto che tiene sulla Repubblica, Stefano Folli, solitamente inappuntabile, prende una cantonata: «I partiti possono eleggere in Parlamento solo un terzo dei giudici (cinque sui quindici del plenum). Un altro terzo è eletto dal presidente della Repubblica». Eletto? Il capo dello Stato non elegge: nomina.
È scritto nell’articolo 135 della Costituzione: «La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative». Eleggere significa «nominare qualcuno a un ufficio, una carica o dignità, con votazione palese o segreta» (Lo Zingarelli 2025). Sergio Mattarella non vota i 5 giudici né palesemente né segretamente: li indica e basta, a sua esclusiva discrezione.
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Editoriale di esordio del nuovo direttore della Repubblica, Mario Orfeo: «Qual è il nostro campo è chiaro. Un campo aperto (largo al momento non sembra portare bene), progressista, lontano e opposto a chi alza nuovi muri e disegna confini più angusti. Aperto al confronto scevri da pregiudizi». Complimenti per la concordanza.
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PROTOCOLLO DI CHIODO - MEME BY EMILIANO CARLI - IL GIORNALONE - LA STAMPA
Dall’editoriale di Maurizio Belpietro, direttore della Verità: «E poi, che cosa faranno questi signori una volta che, malauguratamente, vincessero in Liguria e altrove?». In base alle regole di costruzione del periodo ipotetico, il verbo al futuro («faranno») andava messo al condizionale («farebbero») nella principale, seguito dal congiuntivo («vincessero» o, meglio ancora, «dovessero vincere») nella subordinata. E che cosa farebbero? «La risposta è semplice: ricomincerebbero a litigare», scrive Belpietro nella frase successiva, ricorrendo appunto al condizionale e non al futuro.
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Incipit di Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano: «L’estate di passione dei treni italiani, con cancellazioni e ritardi per guasti e centinaia di cantieri aperti da luglio a settembre, non è finita». E invece a noi pare che sia finita, considerato che dal 22 settembre siamo in autunno.
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Su Specchio della Stampa, nella rubrica Domenica con, Alain Elkann intervista Thomas Persson, direttore creativo, editore e consulente di grandi griffe. Nell’introduzione spiega che è autore di «due libri sul leggendario fotografo Lord Snowdon, con la figlia minore del quale, Frances Armstrong-Jones, ha fondato Luncheon, un biennale di stile e cultura». Ciononostante, gli pone la seguente domanda: «Lei ha lavorato anche con la figlia di Snowdon, Frances Armstrong-Jones?». Giriamo a Elkann la prima regola degli avvocati, enunciata da Ed Concannon (alias James Mason) nel film Il verdetto di Sidney Lumet: «Mai fare domande di cui si conosce già la risposta». Vale anche per i giornalisti.
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Manuela Soressi sul Sole 24 Ore rievoca quando Bernardo Caprotti nel 1990 «aggiunse gli scaffali con le vaschette di piatti pronti take way». Conoscendo i frequenti rimandi all’adorata lingua inglese che il fondatore dell’Esselunga disseminava nei propri discorsi, le avrebbe gridato, avvampando in viso: «Go away!».
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Nella doppia pagina che apre La Lettura, supplemento culturale del Corriere della Sera, Vincenzo Trione definisce il cantautore Vasco Rossi «un involontario nouvel philosophe». Vabbè che non è La Lecture, ma in francese, per indicare un nuovo filosofo, si scrive «nouveau philosophe». Nouvel si utilizza soltanto davanti a un sostantivo maschile che comincia con una vocale o una h muta: philosophe inizia con una consonante.
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F. Det. (François De Tonquédec?) sulla Verità riferisce che «Maria Rosaria Boccia, la non consulente dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano», ha pubblicato l’ennesima storia su Instagram, precisando: «Ma non sappiamo se quella postata era una fotto fatta sul momento o una foto d’archivio». Tralasciando il congiuntivo mancante («fosse una foto», bisognava scrivere), «fotto» è un refuso che nel caso in questione sarebbe stato meglio evitare accuratamente.
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Caterina Stamin sulla Stampa: «Un’altra rapina nel cuore della città. La vittima è un anziano, avvicinato mercoledì in pieno centro da un diciottenne di origine nordafricana. Senza che la vittima se ne rendesse conto, l’aggressore l’ha derubato della collanina d’oro, strappandogliela violentemente di dosso». Affinché se ne rendesse conto avrebbe dovuto sparargli?
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Titolo dal Messaggero Veneto: «La 41enne molisana suor Maria Angelica ordinata ad Attimis monaca di clausura». L’incauto redattore ha preso il posto di papa Francesco e ha anticipato le ordinazioni sacerdotali femminili. Il sacramento dell’ordine sacro per il momento viene conferito solo ai preti. Le suore, e i religiosi in genere, si limitano a pronunciare la professione, cioè solenne e pubblica promessa con la quale s’impegnano a osservare i voti di castità, povertà e obbedienza e le regole dell’ordine o della congregazione di appartenenza.
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Mara Gergolet, corrispondente del Corriere della Sera, da Berlino: «Fu alla Conferenza di Potsdam (o del Wannsee) che nel novembre scorso estremisti e leader AfD discussero il famigerato piano per deportare 2 milioni di persone “non integrate”, anche di passaporto tedesco. Lo scandalo che innestò le proteste di massa». Innestò? Diremmo innescò.
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Titolo dalla Verità: «Cuneo vieta l’alcol contro il degrado». Esiste un alcol che combatte il degrado? No? Allora bisognava scrivere: «Contro il degrado, Cuneo vieta l’alcol». Oppure: «Cuneo contro il degrado vieta l’alcol».