Estratto dell’articolo di Salvo Palazzolo per www.repubblica.it
Era il superpoliziotto di Palermo, il capo della squadra mobile che fra il 1988 e il 1994 arrestò decine di latitanti e mafiosi. Quando morì, nel 2002, stroncato da un tumore, in questura la sua foto fu messa accanto alle immagini degli investigatori uccisi dalla mafia. Tanto era un mito per i poliziotti di Palermo, giovani e vecchi. Oggi, invece, Arnaldo La Barbera è l’uomo dei misteri.
I magistrati di Caltanissetta lo ritengono il gran regista dell’operazione che trasformò un balordo di borgata come Vincenzo Scarantino in un provetto Buscetta. Ma perché costruire quello che è stato definito il più grande depistaggio della storia d’Italia? Perché era colluso con la mafia, hanno sostenuto i pubblici ministeri di Caltanissetta che ora – dopo il racconto di un supertestimone – cercano l’agenda rossa a casa dei familiari dell’investigatore, con delle perquisizioni fatte dal Ros nelle abitazioni della moglie e di una delle figlie.
E, intanto, prosegue in appello il processo per i tre poliziotti del gruppo di La Barbera (per due è scattata la prescrizione, uno è stato assolto). In appello la procura e la procura generale nissena provano soprattutto a ribadire che l’operazione Scarantino fu fatta per favorire Cosa nostra. Il tribunale ha ritenuto diversamente, sostenendo che La Barbera smarrì la strada solo perché voleva trovare un colpevole a tutti i costi per la strage Borsellino.
giovanni arcangioli con la borsa di paolo borsellino
Chi era davvero Arnaldo La Barbera? Eroe dell’antimafia sull’orlo di una crisi di nervi o un complice della mafia? Le indagini dopo la sua morte hanno portato a scoprire che aveva una doppia tessera in tasca. Non era solo un dirigente di polizia, ma anche un collaboratore dei servizi segreti, nome in codice Rutilius. Sin dalla metà degli anni Ottanta.
Per fare cosa? L’Aisi ha riferito ai magistrati di Caltanissetta che ufficialmente il rapporto con La Barbera sarebbe andato avanti dal 1986 al 1988: gli 007 parlano di una “consulenza”, «per verifiche costanti in merito alla criminalità organizzata qualificata operante nell’Italia settentrionale», dove il poliziotto aveva operato a lungo. Ma questa tesi ufficiale non ha mai convinto i magistrati.
Alcuni collaboratori di giustizia hanno detto che Arnaldo La Barbera era nelle mani della famiglia palermitana dei Madonia, però il tribunale di Caltanissetta non ha trovato riscontri a queste accuse. «Anche perché fu La Barbera ad arrestare Antonino e Salvatore Madonia, che erano latitanti», ricordano i giudici. Il pentito Vito Galatolo ha insistito dicendo di aver visto La Barbera in vicolo Pipitone, all’Acquasanta, il quartier generale del clan Galatolo, il cuore del mandamento dei Madonia. Ma anche in questo caso non sono stati trovati riscontri.
[…] Per il tribunale di Caltanissetta del processo “depistaggio” non vi è prova che La Barbera abbia agito per favorire la mafia, «non vi invece è dubbio che abbia agito anche per finalità di carriera e, dopo essere stato posato alla fine del 1992, una volta rientrato nel circuito, abbia fatto letteralmente carte false per poter mantenere e accrescere la propria posizione all’interno della polizia e nell’establishment del tempo».
I giudici hanno un’altra certezza: «Non vi è dubbio che il dottor Arnaldo La Barbera fu interprete di un modo di svolgere le indagini in contrasto – non solo oggi ma anche al tempo – prima ancora che con la legge, con gli stessi dettami costituzionali». È davvero possibile che un eroe dell’antimafia possa aver finito per comportarsi come l’ultimo degli impostori? La procura di Caltanissetta continua a indagare nei misteri di Palermo.
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