Domenico Quirico per “la Stampa”
Arrivano momenti in cui la guerra cambia velocità, ritmo, direzione. Ti sembra quasi di sentirne il nuovo rumore: prima procedeva inarrestabile, a mille all'ora, ora sembra essersi fermata, è come sospesa, continua a uccidere ma non si riesce a decifrare dove andrà. Chi ne tiene davvero le fila, il senso, la conclusione? Accade ma noi lo scopriamo a rate.
Talora la causa è nell'esito di una battaglia, perfino uno scontro minore, che all'inizio era finito nei rapporti come episodio senza gravi conseguenze; talora è uno strappo che si verifica nelle retrovie o nell'afflusso ordinato dei rifornimenti di cui solo pochi si sono accorti. Più raramente è la decisione esplicita, annunciata da uno dei protagonisti. È quanto sta accadendo in Ucraina dopo sei mesi sperperati in battaglie, avanzate, ritirate, controffensive. E morti. Con l'evocazione putiniana, non vagamente ipotetica ma burocraticamente collegata a una clausola e a un fatto, dell'impiego della atomica o delle atomiche.
Scenario che ancora esploriamo, da questa parte della guerra, convocando solo parole alla rinfusa. Da oggi, quando verrà annunciata a Mosca la ratifica del referendum nei territori del Donbass sotto controllo russo e l'annessione formale alla Russia sul modello di quanto fatto per la Crimea, non sarà più la guerra che abbiamo vissuto finora. Non avranno più valore le stesse regole. Neppure le stesse condizioni per determinare la vittoria e la sconfitta. Di più: le condizioni che definiscono la vittoria o la sconfitta sono cancellate. Siamo entrati nell'irrimediabile.
Ma come? Tutto questo per un referendum che, evidentemente, per le condizioni in cui si è svolto e il suo carattere arbitrario e unilaterale, non ha alcun valore per il diritto? Purtroppo questo non cambia nulla. Perché quello che conta è quello che innesca, ovvero il ricatto atomico di Putin: d'ora in avanti se attaccate il Donbass o la fascia costiera di cui abbiamo il controllo è come se attaccaste Mosca o San Pietroburgo e abbiamo il diritto per difenderci di usare anche l'arma atomica.
E il tiranno ha aggiunto: attenzione, non sto bluffando. Il prometeismo criminale dell'autocrate ci impone dunque una verità che finora era collocata per sua natura al limite dell'incubo. Vanterie sciagurate? Trucchi di un giocatore che ha perso tutte le carte e disperato, isolato, cerca di evitare la fine? Possibile. Ma come essere sicuri che è così? Finora la strategia americana in Ucraina si muoveva su ipotesi relativamente sicure.
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Le decisioni strategiche che venivano concesse agli ucraini e i mezzi che le rendevano possibili, ovvero resistere a ogni costo, contrattaccare, recuperare passo dopo passo il territorio invaso e rubato, erano all'interno di sviluppi che potevano essere corretti o attenuati secondo le circostanze sempre imprevedibili della guerra. Ma ora? Alimentare il tentativo ucraino di proseguire l'avanzata e di riprendere, ricacciando un esercito russo disorganizzato e in crisi, tutto il Donbass fino al vecchio confine e Kherson e Sebastopoli che conseguenze può avere?
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Non c'è più il margine di errore rimediabile che ogni ipotesi militare consente. Agli strateghi militari si insegna, per questo, a non iniziare mai una guerra senza una strategia di conclusione. Qual è la strategia di conclusione ora che in Ucraina esiste la possibilità di un apocalittico non ritorno? Chi nell'amministrazione americana ha il coraggio di rischiare?
Sarà un caso ma dopo che Putin ha annunciato l'ipotesi atomica, l'avanzata ucraina, che sembrava irresistibile, si è spenta fino a quasi fermarsi. Per assestarci e riordinarci prima del nuovo balzo, si è spiegato. E se fosse il dubbio atomico da risolvere? Finora, in fondo, era una sanguinosa lotta contro il tempo. La pressione delle sanzioni unite allo scacco militare sul terreno avrebbero prima o poi fatto crollare Putin.
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Costringendolo ad arrendersi o determinando una rivolta interna dei russi disperati e affamati, o una congiura, un golpe di militari umiliati e decisi a non pagare per i loro errori. Lo sciopero contro la mobilitazione in fondo era la prova che qualcosa si stava muovendo. Bastava avere pazienza e aggiungere sanzioni a sanzioni, armi ad armi.
Ma con la proclamazione dei nuovi confini difesi dalla atomica Putin ha fermato questo orologio le cui lancette scandivano il nostro evidente vantaggio e segnavano il poco tempo che lo separavano dalla catastrofe. L'irrompere della atomica sul campo di battaglia, come accadde nell'agosto del 1949 quando gli scienziati russi regalarono a Stalin il suo ordigno, crea un tempo nuovo, che è immobile: perché se l'orologio fosse riavviato scandirebbe solo lo spazio che ci separa dalla apocalisse.
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Si dice: sono chiacchiere, Putin sa benissimo che se userà l'atomica la punizione per lui e i russi sarebbe altrettanto mostruosa, forse di più. Già. Ma siete sicuri? Come fare ad essere sicuri? E come potreste giustificare il margine di errore che avete deciso di accettare? L'attentato al gasdotto del Baltico potrebbe essere un altro segnale, se è il responsabile, che ci invia il Cremlino: io elimino i miei nemici avvelenandoli, lo sapete bene. Ora sapete che posso avvelenare anche un mare, non mi pongo limiti nella capacità di distruzione. Saddam diede fuoco ai pozzi di petrolio causando un disastro ecologico. Ma Saddam non aveva le atomiche.
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Ora occorre riesaminare tutta la strategia per vincere. E bisogna evitare un errore di cui in questi mesi mi pare si siano intravisti segni, il fenomeno psicologico definito sindrome da realizzazione dello scenario. Le informazioni che non corrispondono alla interpretazione dominante degli avvenimenti vengono semplicemente ignorate.
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I politici occidentali vogliono essere rassicurati: Putin è politicamente ed economicamente moribondo, il suo espansionismo prepotente è naturalmente destinato al fallimento di fronte al coraggio e alla onnipotenza democratica. La tesi non è necessariamente corretta, ma è quanto vogliono sentirsi dire. E allora analisti e «intelligence» tendono a scegliere solo i dati che lo provano scartando gli altri. In qualche caso come in Iraq e in Afghanistan costruiscono addirittura le prove che lo dimostrano. Ma con l'atomica non si può sbagliare.