Giacomo Amadori per “la Verità”
Massimo D'Alema per giustificare il suo intervento nella trattativa per una commessa da 4 miliardi di euro con le forze armate colombiane ha dichiarato di essere stato contattato da «personalità politiche» dello Stato sudamericano. Ma non ha fatto i loro nomi. A quanto ci risulta i suoi interlocutori, sin dall'inizio, sono stati due italiani, Emanuele Caruso e Francesco Amato, a cui poi si è aggiunto un ex comandante dei gruppi paramilitari colombiani di estrema destra messi al bando una quindicina di anni fa.
LA MEDIAZIONE DI MASSIMO DALEMA PER UNA VENDITA DI ARMI ALLA COLOMBIA
Edgar Ignacio Fierro Florez, meglio conosciuto con il nome di battaglia di Don Antonio, è stato anche condannato a 40 anni di carcere per i suoi delitti, ma a lui D'Alema si rivolgeva con deferenza. Sapeva chi fosse? «Io lo avevo detto al suo stretto collaboratore Giancarlo Mazzotta. Anche che aveva militato nelle Autodefensas unidas» ci ha spiegato Amato.
Fa sorridere pensare che l'ex leader comunista si sia trovato a fare affari con un estremista di destra accusato di aver ucciso gli avversari politici e di aver militato in milizie coinvolte anche nel narcotraffico, a partire dal capo supremo Salvatore Mancuso, estradato negli Usa e poi graziato.
Fierro è stato cacciato dall'esercito regolare quando era capitano per aver organizzato una perquisizione dove non c'era niente da perquisire. Si arruolò subito nelle Auc e per tre anni ebbe incarichi di comando. Il suo gruppo, nella zona che controllava, seminò il terrore, massacrando attivisti per i diritti civili, sindacalisti, professori universitari, commercianti, allevatori, ladruncoli e tossicodipendenti.
Quindici persone vennero uccise in un solo week end. Sui siti colombiani ci sono le storie di alcuni di questi morti, in una sorta di Spoon river di persone che, per il loro impegno politico a favore dei più deboli, sarebbero state certamente applaudite a un dibattito alla festa dell'Unità. Tra i nomi più noti dei martiri di questa mattanza il sociologo Alfredo Correa de Andreis. Fierro, che nel mondo delle forze armate, apre ancora qualche porta, era appellato da D'Alema con il soprannome di «senatore», come forse gli era stato presentato, anche se era solo un pregiudicato.
D'Alema con i giornali amici ha rivendicato di essersi interessato alla vendita di aerei e navi da guerra solo per amor di Patria, non certo per mettere da parte gli oltre 80 milioni di euro che aveva promesso a Fierro si sarebbero divisi alla fine dell'affare. «È un contratto commerciale al 2% del business, dell'ammontare del business. Questa è una decisione straordinaria, non è stata facile da conseguire» ha trillato con l'ex comandante delle Autodefensas unidas de Colombia.
Ma con Repubblica si è schermito, assicurando di non avere ben chiaro che cosa «possa essere il success fee in un'operazione di questo tipo». Peccato che il premio da 80 milioni a cui ha fatto riferimento dell'audio che abbiamo pubblicato in esclusiva corrisponda esattamente al 2% delle offerte da 4,16 miliardi complessivi che Fincantieri e Leonardo hanno inviato, attraverso lo studio Robert Allen law, in Colombia. Nella proposta di Leonardo, per 24 caccia M-346 equipaggiati, manutenzione e opere civili annesse la spesa era di 2,13 miliardi di euro, mentre nel prospetto di Fincantieri 2 fregate Fxc 30 venivano offerte per 900 milioni, 2 sottomarini classe Trachinus a 730 milioni, costi a cui occorreva aggiungere 450 milioni di manutenzione e 50 per servizi logistici, per un totale di 2,03 miliardi.
Grazie a D'Alema i broker italiani e lo studio Allen sono riusciti a portare a casa un memorandum of understanding firmato a Bogotà il 27 gennaio 2022 da Giuseppe Giordo, general manager della divisione militare, e Achille Fulfaro, vicepresidente vendite e direttore commerciale.
I CONTATTI
Con Leonardo la trattativa per la vendita di 24 caccia era meno avanzata. Era iniziata dall'ufficio più importante dell'azienda di via Montegrappa, quando D'Alema si era rivolto direttamente all'ad Alessandro Profumo, che aveva trasferito la pratica al vicepresidente e capo del commerciale Dario Marfé.
Quest' ultimo si era subito messo a disposizione del politico per informazione e invio di materiali. L'affare doveva essere sembrato migliore di quello (da 5 aerei) a cui stava lavorando un broker colombiano con la supervisione del ministero della Difesa, anche perché riguardava aerei da addestramento non particolarmente ricercati sul mercato.
A fine dicembre era stato siglato un Nda, un non disclosure agreement con l'avvocato Umberto Bonaventura dello studio Allen, accordo di riservatezza propedeutico alla due diligence e all'eventuale firma di un contratto. Il nome dello studio, come detto, è stato segnalato dall'ex premier.
Ma a destare i primi sospetti in Leonardo sarebbe stato l'incontro organizzato per un loro manager, Carlo Bassani, al ministero della Difesa di Bogotà, a cui avrebbero partecipato ufficiali della Marina che sembravano più interessati agli elicotteri che agli aerei.
All'azienda sarebbero apparse eccessive anche le provvigioni richieste e il core business dello studio Allen, specializzato nella vendita di yacht di lusso.
LA TELECONFERENZA
L'8 febbraio viene organizzata una conference call. Che finisce in modo disastroso, come racconta Mazzotta, stretto collaboratore di D'Alema in questo business, a Caruso: «Caro Emanuele sono profondamente e amareggiato per la pessima figura di oggi. Alle ore 17 ero a Roma nello studio del presidente e, purtroppo, alle 17 e 30, si è collegata solo la parte italiana e più precisamente: il Presidente, il direttore generale di Fincantieri Spa, dottor Giuseppe Giordo, e l'amministratore delegato di Leonardo Spa dottor Alessandro Profumo.
Nessuno della parte colombiana si è collegato. Come ti ho anticipato si registra purtroppo una brutta battuta di arresto che rischia di compromettere definitivamente ogni forma di collaborazione. Mi sono speso personalmente con il Presidente, mettendoci la faccia, e francamente, nonostante i miei ottimi rapporti con lui, credo che si sia disaffezionato a proseguire».
In realtà due giorni dopo D'Alema chiede e ottiene di avere una call a quattr'occhi con Don Antonio, il criminale della guerra civile colombiana.Il 21 febbraio l'avvocato Bonavita scrive ad Amato: «Questa settimana chiudo definitivamente con le ditte italiane. Entro giovedì devo avere in mano i due contratti». Cioè entro il 24. Ma nessuno si fa più sentire e i due broker inviano alle due aziende un report in cui ricostruiscono tutta la loro attività per arrivare al risultato, dagli incontri romani «con autorevoli figure del panorama politico nazionale» alle interlocuzioni «non particolarmente incisive con lo studio Allen».
Uno sfogo che mette definitivamente in allerta i vertici di Leonardo e manda all'aria il progetto. Ma quanto ci abbia creduto D'Alema emerge dai messaggi apparsi sul gruppo Signal aperto dai due broker italiani con «Massimo D.» a cui risulta collegato un numero di telefono riconducibile all'ex premier. Qui Massimo D. distribuiva informazioni e consigli, in italiano e spagnolo.
I MESSAGGINI TELEFONICI
Negli sms fa riferimento a memorandum e accordi di riservatezza, a «informazioni relative a Fincantieri» smistate «da Giancarlo» e al «catalogo di Leonardo» che sarebbe arrivato «in giornata».
Quindi mette in guardia Amato: «L'importante è che Fincantieri e la Marina colombiana si capiscano. Il nostro obiettivo è che dopo il 14 (dicembre, ndr) inizi una trattativa diretta. Non dimenticare che stiamo aspettando l'invito di Leonardo, invito che deve essere inviato a Robert Allen». L'obiettivo è far fuori i concorrenti: «Va tutto bene, abbiamo solo il problema dell'azienda colombiana che ha già un contratto con Leonardo, ma lo risolveremo. Ora dobbiamo mandare gli inviti a Robert Allen e alle due società».
Sui soldi tranquillizza l'interlocutore: «Devi avere pazienza e fare la tua parte, stiamo andando bene e alla fine avrai grandi vantaggi ora è importante che arrivino gli inviti». Qualcuno parla di riunione e Massimo D. lo corregge: «Non abbiamo una riunione. Abbiamo un saluto. Il Ceo di Fincantieri ringraziera il senatore (Fierro, ndr) per il suo impegno per promuovere la collaborazione tra i due Paesi. lo mi uniro. Assicureremo il nostro impegno. Se Giancarlo vuole assistere io non ho problemi. Ma in silenzio».
In una mail inviata allo studio americano, i broker scrivono che Fincantieri è una società collegata a Leonardo. Massimo D. li corregge: «Fincantieri non è del gruppo Leonardo, ma non e un problema. Loro risponderanno che sono pronti a venire il 7 o l'8 (dicembre, ndr).Hanno concordato già tra la società e gli avvocati. Prima non ce la fanno».
La visita a Cartagena, negli uffici della Cotemar, armatore pubblico colombiano, avverrà qualche giorno dopo, il 14 dicembre.«Verranno con una proposta strutturata. Compresa la parte finanziaria» anticipa sempre Massimo D.. Esattamente quello che i colombiani troveranno nella proposta. Amato e Caruso ricevono precise istruzioni: «Tutti gli inviti e le manifestazioni di interesse dovrebbero andare allo studio americano, cioè a Umberto, quando abbiamo le carte in mano negoziamo con le aziende (Leonardo e Fincantieri). È assolutamente necessario evitare che gli inviti vadano direttamente alle aziende». Così da evitare di perdere le sontuose provvigioni.