Andrea Cionci per "www.lastampa.it"
La borraccia militare in senso moderno risale alla seconda metà dell’800, eppure i Romani l’avevano già inventata. Una di queste è stata appena rinvenuta, in straordinarie condizioni conservative, presso la cittadina di Seynod, nella Francia sud-orientale. Artefici della scoperta, gli archeologi dell'Istituto Nazionale per la Ricerca Archeologica Preventiva (INRAP).
Sul sito dovrebbe sorgere un centro commerciale, o qualcosa del genere, ma fin dalle prime indagini sono emerse le testimonianze di un luogo sacro romano dotato di due o tre piccoli templi dei quali sono rimaste solo le fondamenta in pietra. In due di questi, il pavimento della cella (lo spazio chiuso del tempio) e il vestibolo possono essere chiaramente identificati e riferiti alla prima metà del IV secolo. Tuttavia, il sito doveva essere più antico: il ritrovamento di ceramiche della fine del I sec. fanno datare a quell’epoca la prima costruzione del santuario.
Oltre ai templi, sono emerse 42 tombe dalle dimensioni molto diverse: la maggiore è larga più di due metri, la più piccola solo un metro e mezzo. All'interno di alcune di queste sono state trovate monete, ceramiche e figurine. Tra i diversi oggetti votivi, è spuntata una “laguncula” in metallo del IV sec. d.C. che apparteneva quasi sicuramente a un legionario.
"Si tratta di un ritrovamento eccezionale per lo stato di conservazione – spiega l’archeologo Carlo Di Clemente - ne esistono solo pochissimi altri esemplari rinvenuti da scavi. La “laguncula” era la fiasca recipiente, solitamente in rame, bronzo o altre leghe, che ogni legionario portava con sé per conservarvi la sua razione quotidiana di cereali, che avrebbe poi consumato assieme ai compagni del suo “contubernium”, la più piccola unità dell'esercito romano (8 soldati). L'approvvigionamento alimentare dell'esercito romano era estremamente efficiente: per una legione (circa 5000 uomini) occorrevano attorno alle 12 tonnellate di cereali al giorno."
Il contenitore, dalla forma molto graziosa, è composto da due dischi di ferro uniti da piastre in bronzo dal contorno lobato come quello di una foglia di quercia. Di bronzo è fatto sia il manico incernierato che il tappo, una volta collegato alla fiasca da un cavetto metallico, sempre in lega di rame, di cui è rimasto un frammento. Sia il tappo che la base sono decorati con cerchi concentrici. L’interno era rivestito di cera o di pece per impermeabilizzare il recipiente e, non a caso, sono state individuate tracce di questo materiale.
Ancor più interessante come si siano conservati i resti del contenuto organico della borraccia. Secondo le prime analisi si tratta di semi di miglio (Panicum miliaceum, cereale largamente consumato dai Romani) more, con tracce di latticini. Forse aveva trasportato anche olive, data la presenza di acido oleanoleico.
La laguncula era quindi anche una sorta di gavetta, dato che poteva contenere cibi solidi. Per l’acqua, infatti, i legionari avevano in specifica dotazione l’otre. Spiega lo storico militare e archeologo sperimentale Flavio Russo: “Questo era una fiasca realizzata in pelle di capra ed aveva il vantaggio di non rompersi con le cadute o gli urti. Il pelo esterno, se bagnato, consentiva di rinfrescare il contenuto per la sottrazione di calore prodotta dall’evaporazione.
Il suo utilizzo giunse perfino alla Grande Guerra dove veniva chiamato “ghirba”. Per estensione, “salvare la ghirba” cominciò a significare, nel gergo militare, salvarsi la vita. L’otre svolgeva anche un’ utilissima funzione: se riempito d’aria, costituiva un vero e proprio salvagente che consentiva al legionario di guadare i corsi d’acqua. Gli otri di pelle, se utilizzati in massa, potevano anche servire per realizzare ponti galleggianti”.
Tornando alla laguncula, stupisce come sul mercato degli accessori per la rievocazione storica questa borraccia sia già da tempo presente, riprodotta con caratteristiche del tutto simili a quella antica ritrovata. Questo ci consente di apprezzare come doveva presentarsi “nuova”.
Sicuramente era un oggetto di un certo valore, come tutti quelli metallici, all’epoca, al quale il legionario doveva tenere particolarmente. Forse proprio per questo fu lasciata in una delle tombe. Magari, l’estremo omaggio di un commilitone, di un amico, di un fratello? Non è solo un ritrovamento archeologico: la ruggine e il verderame che ricoprono la laguncula evocano una storia di dolore e di affetto che non sapremo mai.