La figlia dell'immobiliarista Salvatore, scomparso a maggio del 2018, aveva patteggiato in primo grado una pena a 2 anni e otto mesi di reclusione, inflitta dal Tribunale di Torino. Ora è stata definitivamente assolta con formula piena. Era imputata per aggiotaggio e falso in bilancio e dopo la condanna i giudici avevano respinto la sua richiesta di scontare la pena svolgendo lavori socialmente utili. Sempre nell'ambito dell'inchiesta Fonsai, nel 2016 erano stati condannati per gli stessi reati il padre Salvatore e la sorella Jonella. Sentenza poi annullata per incompetenza territoriale della magistratura torinese. «Finalmente dopo più di sei anni si è arrivati alla verità», ha detto Giulia Ligresti, «è stata durissima ma non ho mai smesso di lottare e di avere fiducia nella giustizia, nonostante la violenza di essere stata messa in carcere, con tutto ciò che ne consegue, da innocente. Troppo spesso, in nome della giustizia, si commette la più grande delle ingiustizie: togliere la libertà a un innocente e abbandonarlo alla gogna mediatica. Ringrazio i miei avvocati, i miei figli, la mia famiglia e tutti gli amici che non mi hanno mai fatto sentire sola in questa difficile battaglia».
LE ACCUSE AL CENTRO DELL'INCHIESTA
Al centro dell'inchiesta c'era la presunta falsificazione del bilancio Fonsai del 2010, nel quale sarebbe stata deliberatamente truccata la voce «riserva sinistri», sottostimata per circa 600 milioni di euro al fine di nascondere un pesante passivo nei conti della società. In questo modo, secondo l'accusa, gli investitori sarebbero stati privati di informazioni determinanti per una corretta valutazione dei titoli azionari. Il bilancio 2010, hanno sostenuto i magistrati, è stato preso come base anche per la predisposizione del prospetto informativo dell'aumento di capitale di Fonsai del luglio 2011. Da qui l'accusa di aggiotaggio.
UN IMPERO CHE SI È SGRETOLATO
L'impero dei Ligresti si è sgretolato nel corso del 2012, quando la famiglia si è ritrovata sommersa da circa due miliardi di debiti, mentre la magistratura indagava sulle vicende di malagestione emerse dopo la denuncia del fondo Amber. I Ligresti sono stati costretti dalle banche, che fino ad allora li avevano finanziati, in primis Mediobanca e Unicredit, a lasciare Fonsai a Unipol, "cavaliere bianco" incaricato di mettere in sicurezza una compagnia esposta per 1,1 miliardi verso Piazzetta Cuccia. Fino a quel momento Salvatore Ligresti era stato uno dei protagonisti della finanza italiana, a dispetto delle ombre che accompagnavano l'origine della sua fortuna e di una condanna per tangenti nel 1992, a seguito della quale fu arrestato per poi patteggiare una pena di due anni e quattro mesi prima di venire affidato ai servizi sociali e tornare quindi alla sua attività di costruttore.
GLI ESORDI A MILANO NEGLI ANNI 50
GUIDO CARLI E SALVATORE LIGRESTI
Arrivato a Milano alla fine degli Anni 50, 'armato' solo della sua laurea in Ingegneria conseguita a Padova, Don Salvatore si era imposto come uno dei più importanti immobiliaristi della 'Milano da bere', anche grazie alla cura con cui seppe coltivare relazioni politiche, a partire da quella con Bettino Craxi prima e una parte del mondo berlusconiano poi, che ha replicato a suo modo nel mondo della finanza, collezionando quote importanti - da qui il nomignolo di Mister 5% - in molte società del ''salotto buono'', da Mediobanca a Rcs, da Pirelli a Capitalia (solida la sua relazione con Cesare Geronzi). Oltre al rapporto con un altro siciliano rampante, quel Michele Sindona da cui rilevò Richard Ginori negli Anni 70. La sua ascesa godette del sostegno della Mediobanca di Enrico Cuccia, con cui aveva una solida amicizia. Fu proprio Mediobanca a toglierlo dall'impaccio dei debiti una prima volta, alla fine degli Anni 80, aiutandolo nella quotazione di Premafin. E fu sempre Mediobanca, questa volta sotto la reggenza di Vincenzo Maranghi, ad aiutarlo a scalare nel 2001 Fondiaria.
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