Marta Serafini per il “Corriere della Sera”
«Siamo distrutti». Un adolescente ucciso a colpi di arma da fuoco dopo aver preso a calci un poliziotto, un altro ragazzo travolto dalla furia dei manganelli mentre tornava a casa. Agenti che sparano sui manifestanti disarmati. Elicotteri in cielo, carri armati nei quartieri popolari, esplosioni nelle strade.
Brucia la Colombia, dove il 28 aprile sono iniziate le proteste contro il governo di Iván Duque e dove nemmeno le piogge torrenziali di due giorni fa hanno fermato proteste e scontri nei quali hanno perso la vita fin qui 24 persone (17 secondo le autorità), con 89 dichiarate disperse.
«Ci stanno uccidendo», si legge sugli striscioni. Da Bogotà a Cali, da Medellin a Barranquilla, ovunque si sono svolte marce. I camionisti bloccano le autostrade mentre l'Onu, l'Ue e l'Organizzazione degli Stati americani (Osa) condannano il governo per l'«uso eccessivo della violenza», con la portavoce dell'Alto commissariato dei diritti umani, Marta Hurtado, «profondamente allarmata».
In prima linea i giovani. «Qui non si muore di fame solo per il Covid, si muore di povertà», è il grido di Isamari Quito, studente di giurisprudenza. «Ci danno la caccia», gli fa eco Luna Giraldo Gallego, studentessa della città di Manizales. La pressione sale sul partito conservatore di Iván Duque, 44 anni, mentre gli alleati chiedono lo stato d'assedio, atto che concederebbe al presidente nuovi e più ampi poteri.
«Si ha la sensazione che questo governo, nonostante sia guidato dal presidente più giovane della storia colombiana, insista su idee obsolete», spiega al Corriere Jennifer Pedraza, 25 anni, rappresentante degli studenti dell'Università Nazionale e membro del Comitato per la disoccupazione, che raggruppa le organizzazioni che convocano le manifestazioni.
A nulla è servito ritirare la riforma fiscale, che prevedeva la rimozione delle esenzioni per l'imposta sugli scambi di beni e servizi (la nostra Iva) e avrebbe abbassato la soglia a partire dalla quale si inizia a pagare l'imposta sul reddito.
L'esplosione in Colombia potrebbe presagire disordini in molti altri Paesi, in un mix di tensioni sociali causate dalla pandemia e dal calo delle entrate governative. Le manifestazioni sono, in parte, la continuazione di un movimento che aveva scosso l'America Latina alla fine del 2019, dalla Bolivia passando per il Cile fino al Nicaragua.
Poi è arrivato il Covid. La Colombia ha imposto uno dei lockdown più lunghi che ha causato la chiusura di oltre 500 mila attività, con il 43% della popolazione che vive in povertà (+7% rispetto all' era pre Covid) e 2,8 milioni di persone che vivono con meno di 145 mila pesos al mese, circa 32 euro.
E ora - dopo otto giorni di rabbia - tra le vittime delle proteste si conta anche Santiago Murillo, 19 anni, studente dell'ultimo anno di liceo. Sabato sera stava tornando a casa a Ibagué, mentre erano in corso gli scontri. A due isolati da casa gli hanno sparato e lui è caduto a terra. Domenica gli abitanti di Ibagué hanno tenuto una veglia in suo nome. «Ho chiesto loro di protestare civilmente», dice sua madre, «in pace».
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