Giampaolo Cadalanu per “la Repubblica”
Sulla testa di Tah Subhi Falaha, meglio conosciuto come Abu Muhammad al Adnani, il Dipartimento di Stato americano aveva messo una taglia di cinque milioni di dollari. Adesso che il braccio destro di Abubakr al Baghdadi e portavoce del sedicente Stato islamico «ha affrontato il martirio mentre si occupava delle operazioni ad Aleppo», come dichiara senza dare altri dettagli l’agenzia dello stesso organismo jihadista Amaq, non è ben chiaro chi potrà riscuotere il pagamento, se le “Forze siriane democratiche” (Sdf) della coalizione sostenuta dagli Usa, altri miliziani curdi o magari, per una beffa del destino, un pilota di cacciabombardiere di Damasco o di Mosca.
Al suo posto potrebbe andare Iyad al-Obaidi, alias Saleh Haifa, ex fedelissimo di Saddm Hussein e oggi considerato il responsabile finanziario dell’Is. Ma per l’organizzazione integralista è sicuramente una perdita significativa. Al Adnani, siriano di Idlib di 39 anni, ex militante di Al Qaeda e seguace di Al Zarqawi, era anche stato “emiro” — cioè comandante militare — di Haditha, prima di essere imprigionato dagli americani nel carcere di Camp Bucca, in Iraq. Proprio durante la detenzione molto probabilmente aveva costruito il legame con Al Baghdadi, per poi essere rilasciato con la partenza di gran parte del contingente Usa e la chiusura della prigione, nel 2009.
Ma più ancora che un guerriero, Al Adnani era considerato un leader in crescita, tanto più pericoloso in quanto univa le capacitàmilitari al rigore teorico. Secondo gli studiosi del jihadismo, era proprio lui che seguiva ed elaborava la delicata strategia di comunicazione dell’Is, strumento efficace di proselitismo, che guidava attraverso l’Emni, il servizio di intelligence da lui creato.
E allo stesso tempo era lui che nei campi di addestramento jihadista illustrava ai compagni di lotta le parole di Muhammad ibn ‘Abd al Wahhab, il teologo arabo che predicava la “purificazione” dell’islam attraverso il ritorno alle origini e i costumi dei primi discepoli del Profeta.
Al Adnani era accanto ad Al Baghdadi anche nel momento più delicato per la storia dell’Is: il “no” ad Ayman Al Zawahiri e la rottura dei rapporti con Al Qaeda, dopo un litigio sull’intervento in Siria. Il successore di Osama bin Laden aveva accettato la dichiarazione di fedeltà di Jabhat Al Nusra, un gruppo jihadista che invece Al Baghdadi considerava estensione dell’Is (allora Isis). A quest’ultimo Al Zawahiri aveva chiesto di lasciare la Siria, ma proprio Al Adnani aveva ribattuto punto per punto gli ordini dell’ex medico egiziano, sancendo così la rottura totale con Al Qaeda.
La sua era probabilmente una delle figure più carismatiche dell’universo fondamenta-lista: alla raffinatezza dell’arabo classico usato nelle solenni dichiarazioni pubbliche univa la spietatezza e la mancanza di scrupoli coltivate nell’offensiva contro gli sciiti sotto la guida di Al Zarqawi.
Non era un caso che la sua fosse una delle voci più usate nelle registrazioni audio diffuse sul web, accanto a quella di Al Baghdadi: proprio Al Adnani ha avuto l’onore di proclamare il Califfato e sottolineare il dovere di adesione per ogni buon musulmano. Ma soprattutto Al Adnani era l’uomo della ferocia contro l’Occidente: quella voce la usava per predicare il ricorso a qualsiasi arma, dall’automobile al sasso, per colpire. Il suo nome era stato fatto dai pianificatori dell’assalto al Bataclan, ma anche l’attacco di Nizza era sicuramente ispirato alle sue parole. Ora la sua predicazione all’odio è finita.