Federico Fubini per il "Corriere della Sera"
Il 15 ottobre scorso è uno spartiacque nella storia della pandemia in Italia, perché da quel giorno il green pass non serviva più solo per il tempo libero. Per chi doveva andare al lavoro e non era vaccinato scattava l'obbligo di presentare almeno il risultato di un tampone antigenico negativo. È stata una rivoluzione nei costumi.
Ma è stata anche, più in piccolo, una rivoluzione nel rapporto degli italiani con le farmacie: solo il mese scorso hanno speso appena meno di trenta milioni di euro in test rapidi che permettessero loro di accedere a uffici, fabbriche, cinema o ristoranti senza aver fatto un vaccino. Questa stima di Inqvia, una società di analisi di mercato, non include i tamponi molecolari o antigenici praticati nelle aziende, nei laboratori o negli ospedali privati e pubblici.
Anche per questo i risultati di novembre parlano chiaro: se si dovessero tenere i ritmi di spesa del mese scorso, molto probabilmente gli italiani finiranno per spendere in tamponi più o meno mezzo miliardo di euro l'anno di tasca propria (una volta incluso il costo dei più onerosi test molecolari); e una parte importante di queste somme saranno una sorta di tassa privata, preferita da alcuni milioni di italiani a un vaccino gratuito perché finanziato dallo Stato.
Che gran parte di questi conti si spieghino con il passaggio al green pass, risulta chiaro dalla distribuzione mese per mese e regione per regione della spesa in tamponi. Il 6 agosto scatta l'obbligo di green pass per accedere ai luoghi del tempo libero e quel mese la spesa in tamponi nelle farmacia esplode del 47% rispetto a luglio. Ma questo non è niente rispetto a quel che accade fra settembre e novembre, rispettivamente l'ultimo mese pieno senza e il primo con l'obbligo di green pass sul lavoro.
A quel punto la spesa degli italiani nelle farmacie balza del 70% appunto a 30 milioni in un mese: cinque volte superiore ai livelli di luglio. A un costo stimato di 15 euro per singolo test, è plausibile che solo per questo canale in un mese si siano svolti circa due milioni di test. Ma soprattutto si registra una vera e propria esplosione della spesa in tamponi nelle aree del Paese più in ritardo nella campagna vaccinale: le stesse dove la presenza degli esitanti e dei contrari alle dosi è relativamente più diffusa.
In Val d'Aosta, ancora oggi quartultima in Italia nella classifica delle prime dosi, le farmacie vedono il loro fatturato sui test balzare del 686% fra settembre e novembre. In Trentino-Alto Adige (la provincia di Bolzano è ultima in Italia per l'incidenza delle prime dosi) l'aumento di spesa delle persone è di oltre il 200%. In Friuli-Venezia è del 240%, proprio mentre a Trieste si susseguono le proteste contro il green pass e la regione resta saldamente al di sotto delle medie nazionali per le inoculazioni.
Curiosamente anche in questo aspetto il Mezzogiorno si comporta in maniera esattamente opposta, con l'eccezione della sola Sicilia. Quest' ultima è la regione con il tasso più basso di vaccinazioni, in parte per i problemi organizzativi delle strutture sanitarie ma in parte per la riluttanza presente nella popolazione. Qui la spesa per tamponi in farmacia segna a novembre un boom del 111% su settembre, un po' come accade nelle regioni del Nord dove la presenza di no vax è relativamente più diffusa.
Ma in Calabria per esempio il ritardo della campagna vaccinale è dovuto quasi solo all'inefficienza della sanità, e la popolazione risponde con un aumento di spesa in tamponi minore della media nazionale. La Basilicata, la Puglia e soprattutto il Molise hanno avuto più successo della media italiana nell'iniettare dosi nelle braccia degli abitanti.
Non è un caso che queste tre regioni sono le uniche in Italia dove la gente ha iniziato a spendere in tamponi - anche con il green pass in vigore - meno di prima. Perché il Paese conosce davvero una nuova linea di faglia, fra le molte che lo attraversano: fra chi si sottopone a una tassa volontaria e evitabile, e chi no.