Paolo Baroni per “La Stampa”
Lo scoglio più grosso, ammesso che tra governo, sindacati e imprese alla fine si trovi un accordo, è quello delle risorse: senza arrivare ai 16 miliardi di euro che chiede Confindustria la sola questione del taglio del cuneo fiscale è destinata ad impegnare una notevole quantità di soldi.
E non può essere altrimenti perché con una inflazione che viaggia sopra l’8% un intervento del genere non può che essere strutturale e, soprattutto, importante. «Non ci serve un bonus una tantum da 200 euro, chi lavora a bisogno di 200 euro in più tutti i mesi», ha avvisato Maurizio Landini della Cgil evocando una nuova stagione di tensioni sociali.
Draghi, anticipando la scorsa settimana l’intenzione di convocare le parti sociali, ha già messo in chiaro che la questione del taglio del cuneo fiscale andrà collegata alla prossima legge di bilancio. Anche perché, sempre entro fine anno, andranno defi ite altre partite di non poco rilievo come l’attuazione della riforma del fisco e l’ennesimo ritocco alla riforma delle pensioni. Inutile dire che non ci saranno soldi sufficienti per tutto.
Quando martedì alle 11 il premier incontrerà imprese e sindacati a Palazzo Chigi si troverà di fronte ad una lista infinita di richieste, coi sindacati in particolare che chiedono interventi strutturali in difesa del potere di acquisto di lavoratori e pensionati messi alle corde dal caro energia e dall’aumento generalizzato dei prezzi, e quindi il taglio del cuneo fiscale, sgravi per agevolare il rinnovo dei contratti ed interventi per contrastare la piaga del lavoro povero, compreso un taglio a tutte le forme più precarie di lavoro.
Poi ci saranno le richieste di Confindustria e quelle delle altre associazioni a loro volta alle prese con l’inflazione galoppante, l’imminente aumento dei tassi ed un probabile rischio recessione. Per cui non sarà facile trovare una quadra.
2 - LA RICHIESTA DI BONOMI UNO CHOC DA 16 MILIARDI
Da “La Stampa”
Sul taglio del cuneo fiscale tutte le forze politiche sono sostanzialmente d'accordo. Lo stesso vale per imprese e sindacati, anche se poi le loro ricette divergono. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha chiesto da tempo un provvedimento «choc», ovvero un taglio da 16 miliardi di euro su tasse e contributi che pesano sul lavoro per tutti i redditi sotto i 35 mila euro «in modo da garantire una mensilità in più all'anno (qualcosa come 1.240 euro) per tutta la vita lavorativa».
A suo parere questa sarebbe l'unica soluzione da percorrere per «mettere più soldi nelle tasche degli italiani» perché risorse per aumentare i salari le imprese in questa fase non ne hanno. I sindacati non solo contestano questo approccio ma, a partire dalla Cgil, chiedono che il taglio vada tutto a favore dei lavoratori «perché le imprese in questi due anni hanno già beneficiato di ben 170 miliardi di sostegni pubblici».
Il piano di Confindustria invece prevede di ripartire i vantaggi per due terzi ai lavoratori e per un terzo alle imprese, finanziando il tutto con un bel taglio alla spesa pubblica. I sindacati invece chiedono di tassare al 100% gli extra-profitti a tutte le imprese, non solo a quelle energetiche. Il governo si prepara al confronto ma, come ha già spiegato Draghi, la sede naturale per definire questa partita è la prossima legge di bilancio, il che esclude ogni possibile anticipo del taglio già nell'ultimo trimestre dell'anno.
3 - INTESE COLLETTIVE AL PALO SEI MILIONI DA RINNOVARE
Da “La Stampa”
I contratti da rinnovare non riguardano i 6,8 milioni di lavoratori rilevati dall'Istat a maggio e di cui tutti parlano - perché nel frattempo sono andati in porto accordi pesanti come quello delle industrie del comparto chimico-farmaceutico (210 mila occupati) e soprattutto in ambito pubblico quello della Sanità (545 mila addetti) - ma si resta comunque abbondantemente sopra quota 6 milioni, in larga parte addetti del terziario e dipendenti pubblici. Per questa ragione Confindustria si chiama fuori dalla partita, quanto ai sindacati per favorire i rinnovi le confederazioni propongono al governo di detassare gli aumenti.
A parte questo però, Cgil, Cisl e Uil da mesi stanno conducendo una battaglia anche sulle modalità di rinnovo dei contratti contestando il meccanismo di calcolo legato all'Ipca, ovvero all'indice dei prezzi al consumo armonizzato che terrebbe solo in minima parte conto dei forti rialzi dell'energia importata dall'estero.
Per Landini questo meccanismo di calcolo «che risale ai tempi in cui l'inflazione non esisteva ,va cambiato perché altrimenti si finirebbe per programmare la riduzione dei salari reali». Inutile dire che invece Confindustria è contraria a cambiare, mentre il governo finora non si è espresso. La perdita di potere di acquisto è però un dato di fatto: stando all'Istat quest' anno i salari cresceranno solo dello 0,8% a fronte di un'inflazione che il governo stima al 6,8%
4 - I 5S: NOVE EURO ALL'ORA DUBBI DI CGIL, CISL E UIL
Da “La Stampa”
Il lavoro povero è il terzo corno dell'emergenza salari. La risposta che arriva dalla politica (in Italia come a Bruxelles) si chiama, come è noto, salario minimo: se si prendono a riferimento i 9 euro lordi proposti dai 5 Stelle col loro progetto di legge da tempo all'esame del Senato significa intervenire su una platea di 4,5 milioni di lavoratori, in larga parte lavoratori domestici che per oltre il 90% hanno retribuzioni orarie inferiori a questa soglia.
La maggioranza di governo però è divisa visto che Lega e Forza Italia sono contrarie. Anche Cgil, Cisl e Uil guardano con sospetto ad una soluzione del genere perché priverebbe i lavoratori di tutti i diritti legati ai contratti (indennità varie, ferie, malattie, previdenza e sanità integrativa) ed inoltre rischierebbe di scardinare l'attuale assetto di relazioni sindacali.
Per questo vedono i sindacati di buon occhio la mediazione avanzata dal ministro del Lavoro Orlando che, in attesa della direttiva europea e di una maggioranza di governo in futuro magari più omogenea, ha proposto di adottare come base per tutti il trattamento economico complessivo (Tec) dei principali contratti dei vari settori, ben più ricco dei semplici 9 euro. Per procedere su questa strada occorrerebbe però misurare l'effettiva rappresentatività di sindacati e associazioni di imprese, su cui (manco a dirlo) le parti dopo anni di tira e molla non hanno ancora trovato un'intesa