Francesco Grignetti per “la Stampa”
Dall'Egitto filtra un sordo rancore per il passo della nostra magistratura, che ha chiuso le indagini e si appresta a mandare sotto processo quattro alti ufficiali dei loro servizi segreti, la National Security Agency, per il sequestro, le torture e la morte di Giulio Regeni. Da quel che si capisce, la cooperazione giudiziaria finisce qui. Ma con la presa d'atto del procedimento italiano, gli egiziani sembrano anche lasciar fare al procuratore Michele Prestipino. Colpisce però il silenzio dalla Gran Bretagna.
L'obitorio dove si trova la salma di Giulio Regeni
La professoressa Maha Mahfouz Abdelraham, dell'università di Cambridge, che era il tutor di Giulio, resta chiusa nel suo mutismo. Il pm Sergio Colaiocco la settimana scorsa ha denunciato nell'atto finale d'indagine della sua «assenza di volontà di contribuire alle indagini». E così è ancora. La professoressa non collabora. Finora, anzi, ha sminuito o addirittura negato i fatti. Soltanto dall'analisi del suo computer, che era stato sequestrato qualche anno fa, emerge un dato particolarissimo: la professoressa il 7 gennaio incontrò Giulio al Cairo.
Era lì per visitare la sua famiglia e approfittò per incontrare il ricercatore, che era appena tornato in Egitto dalle vacanze di Natale, e nell'occasione le consegnò una prima parte della ricerca sulla sindacalizzazione degli ambulanti egiziani. Un altro elemento, la professoressa ha nascosto ai magistrati, che l'hanno scoperto dalle mail di Giulio, e che peraltro aveva negato in un'intervista del novembre 2017: fu lei a indirizzare il giovane verso la fondazione Antipode e verso quel finanziamento da diecimila sterline che risvegliò l'attenzione del capo degli ambulanti, il traditore Mohamed Abdallah.
Per i paranoici servizi segreti egiziani, il solo odore dei soldi era la prova che qualcuno stava cercando di manovrare contro il regime. Fu così che un sospetto diventò certezza. E Giulio divenne agli occhi della National Security un agente segreto britannico da neutralizzare. I silenzi della professoressa Abdelrahman, agli occhi della magistratura romana hanno un peso. Quantomeno morale. La storia della fondazione Antipode è considerata la pietruzza che precipitando diventa valanga.
Attorno al giovane Regeni infatti era stata stesa una «ragnatela» di informatori, per stare alle parole della procura, già da settimane. L'oggetto stesso della ricerca aveva una forte valenza politica: il regime aveva preso da poco il potere e temeva il riaccendersi dell'opposizione. Ma la storia dei soldi fu il detonatore finale. Uno dei principali sospettati per omicidio, il maggiore Magdi Sharif, parlandone con i colleghi kenioti, disse che il giovane «era appartenente alla fondazione Antipode che spingeva per l'avvio di una rivoluzione in Egitto». E l'ignaro incolpevole appassionato Giulio andò incontro al martirio.
MAHA ABDELRAHMAN MAHA ABDELRAHMAN 2 giulio regeni