Ilaria Ravarino per “il Messaggero”
kalush orchestra vince l' eurovision 6
Il regolamento dell'Eurovision stabilì la regola nel 1958: al Paese europeo che vince la gara - unico esonerato, perché in un altro continente, l'Australia - spetta ospitare l'evento l'anno successivo. E così, dopo l'Italia dei Maneskin, a fare da padrona di casa nel 2023 dovrebbe essere l'Ucraina dei Kalush Orchestra, il Paese che da quasi tre mesi sostiene un conflitto militare e territoriale con la Russia, e che nel 2017 ospitò a Kiev la manifestazione.
Non vede alcun problema il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che sabato notte postava su Instagram l'intenzione di impegnarsi perché «i partecipanti di Eurovision possano essere accolti a Mariupol, in un Paese libero e pacificato».
LE ALTERNATIVE
Ci credono anche i Kalush Orchestra, «gli ucraini ospiteranno l'Eurovision in un Paese nuovo e reintegrato», così come l'inviata della tv ucraina Ua Pbc a Torino Ann Tulieva («Gli ucraini si aspettano di ospitare l'evento») e il giornalista influencer Illia Ponomarenk («Il prossimo anno Eurovision a Mariupol liberata. In qualche modo ce la faremo»). L'elefante nella stanza, però, c'è. E per Ebu è impossibile non vederlo: «È troppo presto per parlare dei dettagli - scriveva ieri la European Broadcasting Union - ma faremo il possibile per realizzare Eurovision in Ucraina». Il possibile, appunto.
In caso contrario una soluzione sarebbe già sul tavolo: lasciare onori e oneri organizzativi al secondo classificato, la Gran Bretagna di Sam Ryder. Solo sei volte, nella storia dell'Eurovision, è stata disattesa la regola dell'ospitalità, quasi sempre per ragioni economiche, e in quattro dei sei casi - l'ultimo capitato nel 1979, vinse Israele e organizzò l'Olanda - a farsi avanti è sempre stata Londra. Intanto, in attesa dell'apertura a inizio giugno del tavolo di lavoro sul prossimo Eurovision, anche la Svezia (quarta classificata con Cornelia Jakobs) si sarebbe proposta per sostituire Kiev.
E l'Italia? Anche se il sindaco di Torino Stefano Lo Russo si dice «a disposizione di Rai ed Ebu per organizzare la prossima edizione a Torino, nel caso non si potesse in Ucraina», la tv italiana non sembra avere intenzione di ripetere il pur fortunato azzardo.
L'ESPERIENZA
Se si tratta di tendere una mano solidale ai colleghi ucraini, per il direttore di Rai1 Stefano Coletta è meglio farlo - letteralmente - aiutandoli a casa loro: «Se dovesse scattare una chiamata collettiva per l'edizione in Ucraina, Rai metterà a disposizione il suo know how e l'esperienza dimostrata in questa edizione».
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