Emiliano Ragoni per it.businessinsider.com
In un comparto in grossa trasformazione come quello automobilistico, che ormai è sempre più popolato da figure professionali che provengono da settori differenti, l’auto elettrica rappresenta oggi il nuovo business. Ma non solo. Insieme all’auto elettrica e all’elettrificazione, si parla sempre di più di guida autonoma e digitalizzazione, tecnologie che i costruttori stanno gradualmente implementando sui loro modelli, cercando di stringere alleanze strategiche per ottimizzare i costi.
E proprio sulla riduzione costi si giocherà la partita del futuro di un settore che, storicamente, è sempre stato caratterizzato da altissimi costi e da ridotti ritorni economici.
Tuttavia, la “moderna” auto elettrica ha fatto gola a molti, anche ad aziende provenienti da differenti settori, che sono state spinte dall’ascesa di Tesla e del suo guru Elon Musk. Purtroppo però, all’atto pratico, molti di questi tentativi sono naufragati, travolti dagli iniziali, altissimi, costi di sviluppo.
Molti nuovi costruttori che hanno cercato di affacciarsi nel settore dell’auto sono infatti prossimi a presentare istanza di fallimento e diversi di essi provengono dall’area asiatica, fertile terreno dell’auto a batteria. Ma possiamo annoverare anche aziende che hanno sede nel vecchio continente, o in America.
Vediamo di raccontare quali sono stati i fallimenti più sostanziali avvenuti nel recente passato nel nuovo settore dell’auto.
Tra le recenti storie finite male non possiamo non parlare della Dyson, celebre azienda inglese produttrice dei famosi aspirapolvere ultra-tecnologici. L’idea che è venuta a James Dyson è stata quella di sfruttare il know-how della compagnia sui motori elettrici per introdurre sul mercato un’auto a batteria.
Purtroppo però, nonostante le buone intenzioni e le oculate attività di pianificazione, la Dyson ha anzitempo deciso di abbandonare il sogno di produrre la propria auto elettrica a causa degli eccessivi costi di sviluppo. A quanto pare i 2,2 miliardi di euro stanziati per l’ingegnerizzazione della vettura, da introdurre sul mercato entro il 2020, non erano sufficienti. Dopo l’annuncio del 2017, anno nel quale l’azienda dichiarava al mondo di voler andare sul mercato con un’auto a batteria (doveva essere una suv-crossover), Dyson aveva creato un team di 500 ingegneri guidati dall’ex dirigente di BMW e Infiniti, Roland Krueger, e spostato la sua sede a Singapore, per gli indubbi vantaggi logistici. Ma questa pianificazione, proprio a causa degli altissimi costi derivanti dalla predisposizione di una completa linea di montaggio, non è stata sufficiente a determinare l’effettiva esecuzione del progetto.
Guardando all’area asiatica, una delle aziende che sembra essere in grande difficoltà è la Nio (inizialmente conosciuta come NextEV), compagnia fondata nel 2014 con ingenti capitali cinesi e ingegneri americani, che attualmente sta affrontando il periodo più difficile della sua esistenza.
Oltre alle consegne in calo (la unità vendute della suv ES6 in Cina si sono dimezzate), le spese in aumento, anche a causa di alcune errate scelte strategiche come la volontà di puntare sulle stazioni di cambio batteria, poi rivelatasi fallimentare, la compagnia ha dovuto affrontare l’abbandono dell’ex vicepresidente Jack Cheng e rinunciare al piano per la costruzione di una fabbrica vicino a Shanghai. A tutto questo bisogna aggiungere l’annoso problema alle batterie della suv ES8, che ha costretto la Nio a richiamare 4.800 veicoli per sostituirne l’accumulatore.
Peccato perché i presupposti c’erano tutti. La Nio, infatti, a differenza della Faraday Future, è stata sempre considerata solida e ben finanziata ed è stata paragonata alla Tesla per il suo approccio di crescita attraverso le auto elettriche premium. E l’IPO di New York ha fruttato alla compagnia un miliardo di dollari. Ma questo non è basto ed i problemi per la compagnia sono cresciuti, mese dopo mese.
Per cercare di salvare il salvabile la Nio ha provveduto a razionalizzare le risorse umane, tagliando 1.000 posti di lavoro in tutto il mondo, pari a circa il 10% della forza lavoro, chiudendo uno dei due uffici nella Silicon Valley (70 dipendenti hanno dovuto lasciare l’azienda). Hanno abbandonato la società manager di alto livello come il capo dello sviluppo del software Li Zhang, il boss britannico Angelika Sodian e quello statunitense Padmasree Warrior.
Al fine di ottimizzare le risorse e focalizzarsi sul profitto, l’azienda è stata in procinto di vendere la sua divisione motorsport che si occupa del team Formula E. L’avvento in Formula E aveva fatto notizia a livello internazionale perché, quando si chiamava NextEV, il team con Nelson Piquet jr. aveva vinto il titolo nella stagione 2015.
Se la storia della Nio è questione nuova, le vicende legate alla Faraday Future, altra compagnia cinese con management americano (la sede è a Los Angeles), risalgono ormai a qualche tempo fa e sono direttamente legate al destino del suo fondatore, Jia Yueting, un imprenditore cinese che, rincorrendo il sogno di costruire un’auto elettrica, ha accumulato 2,3 miliardi di dollari di debiti. Lo stesso Yu Yueting ha presentato istanza di fallimento personale negli Stati Uniti con l’intenzione di consegnare ai creditori le sue quote della Faraday Future per ripianare una parte dei debiti.
Nonostante l’istanza di fallimento presentata sia personale, e quindi non riguardi direttamente la Faraday Future, il destino di quest’ultima è sempre più un rebus poiché è alla quasi perenne ricerca di nuovi fondi.
Le ultime vicissitudini societarie danno la Faraday Future come un’azienda in cerca di un’identità; ad inizio 2019 ha ottenuto un’iniezione di capitale da The9, un colosso cinese del gioco online, e ha assoldando Carsten Breitfeld, veterano del gruppo BMW, che attualmente riveste il ruolo di ceo sostituendo lo stesso Jia Yueting, rimasto in azienda con la carica di CPO (Chief Product Officer). Ma di fatto della produzione in serie della FF91, la prima auto elettrica del costruttore cinese, e della sua uscita sul mercato, non si sa ancora nulla.
Che dire poi della Apple? La compagnia di Cupertino a differenza della sopracitate compagnie asiatiche, ha quasi infinite possibilità economiche, tuttavia quasi due anni fa ha smantellato il “Project Titan”, progetto legato alla costruzione dell’auto elettrica, per ripiegare sullo sviluppo di un sistema di guida autonoma.
La Apple deve essersi fatta bene i conti convenendo quindi che è molto più profittevole vendere smartphone. Del resto l’attuale filiera dell’automotive è tra le più complesse in assoluto con una lista di fornitori e sub-fornitori praticamente infinita. E sappiamo quanto Apple ci tenga ad avere il controllo su tutta la catena dei suoi fornitori. Evidentemente, quindi, oltre agli ingenti costi, a Cupertino hanno rinunciato al sogno di costruire un’auto elettrica anche per le oggettive difficoltà legate alla complessa catena di fornitura.
E poi c’è la Tesla che nonostante bilanci quasi perennemente in rosso ha ancora la fiducia da parte degli stakeholder, anche grazie al suo CEO Elon Musk, imprenditore assolutamente atipico che è riuscito a far diventare cool l’auto elettrica. Ma anche per l’icona dell’auto del futuro su addensano le nubi…
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