Giulia Di Leo per la Stampa
«Oggi c'è il Covid, domani non si sa. Dobbiamo capire che queste misure torneranno utili anche in futuro per proteggere i pazienti più fragili». La neurologa Caterina Pistarini, capodipartimento di riabilitazione neuromotoria dell'istituto Maugeri di Genova, è appena stata nominata segretario generale della Federazione mondiale di Neuroriabilitazione che raggruppa oltre cinquemila specialisti internazionali ed è presieduta dall'americano David Good.
Dottoressa, che influenza ha avuto il Covid nei pazienti neurologici?
«È stato sicuramente un fattore aggravante. Il Covid ha determinato un cambiamento organizzativo, necessario per far fronte a una patologia sconosciuta, ma ha anche portato ad assumere un atteggiamento di maggiore prudenza nei confronti della nostra attività. La relazione tra virus e patologie neurologiche sarà, poi, da indagare sul lungo periodo».
Potrebbero esserci delle conseguenze?
«È una cosa su cui si sta riflettendo e che necessiterà studi approfonditi. Per ora pensiamo che i pazienti affetti da Covid possano andare incontro a problematiche neurologiche. Sembra ci siano azioni indirette e dirette sul sistema centrale periferico. Quando l'apparato circolatorio viene colpito, le trombosi possono arrivare a generare un'ischemia».
Questo nel caso dei pazienti Covid più gravi. In generale invece?
«Anche in chi ha avuto una forma del virus più lieve potrebbero esserci conseguenze importanti che un giorno, non sappiamo ancora dire quando, dovremo affrontare con cure specifiche.
Per esempio, potremmo trovarci di fronte a polineuropatie o miopatie che causano la perdita del controllo motorio e il conseguente allettamento. O ancora anosmie o iposmie, relative alla perdita e alla diminuzione delle capacità olfattive. In generale possiamo dire che molti sintomi legati al Covid, come perdita di gusto e olfatto, mal di testa prolungato e spossatezza muscolare, siano conseguenze neurologiche».
Quanto ha inciso, invece, l'ansia nei pazienti che avevano già disturbi neurologici?
«Molto, se pensiamo che ha influito anche in chi non aveva particolari patologie. Purtroppo l'informazione mediatica è stata troppo veloce e probabilmente la paura è stata amplificate anche dalla comunicazione serale delle conferenze stampa.
Non sono un esperto di comunicazione né uno psicologo, ma posso dire con certezza che l'informazione scientifica ci insegna a essere più cauti e a comunicare le notizie in maniera più ragionata».
Qual è, quindi, secondo lei il giusto equilibrio?
«Sicuramente bisogna abituare il pubblico, ora che siamo di nuovo immersi nel problema, ad assorbire le notizie in maniera graduale, per poter sviluppare una maggiore consapevolezza dei comportamenti rischiosi ed evitabili. In questo fa giocoforza il sistema, che deve essere organizzativo come quello degli ospedali e deve trovare supporto nella medicina territoriale.
I pazienti più a rischio, come gli anziani, devono poter ricevere i servizi medici stando in sicurezza nelle proprie abitazioni, che non vuol dire ghettizzarli, e l'informazione deve arrivare anche e soprattutto dai medici di famiglia. Potenziare la medicina territoriale oggi significa evitare di intasare gli ospedali domani».
Viviamo una vita sempre più lunga con l'idea di essere invincibili, ma questo non significa per forza invecchiare in salute. Come lo si affronta?
«Con cura e attenzione. Le persone affette dal Parkinson, per esempio, in questo periodo hanno vissuto una grande difficoltà. I pazienti devono sentirsi al sicuro, anche con la telemedicina e i consulti a distanza che dobbiamo intensificare. Le raccomandazioni principali sono quelle di seguire la terapia prescritta e le ore di attività previste. I pazienti devono essere in grado di riprendere in mano la propria quotidianità famigliare e sociale».
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