Daniele Abbiati per “il Giornale”
Si sono messi lì con la calcolatrice, una dose da cavallo di pazienza e una montagna di dati. Hanno sommato, moltiplicato e diviso. L'unica operazione che non hanno potuto fare è quella più difficile, anzi impossibile, in casi come questi, perché si parla di morti. Al Center for Research in Health and Economics della Pompeu Fabra University di Barcellona, si sono chiesti: «Ma questo maledetto Covid-19, quanta vita ci ha già portato via?».
Per rispondere hanno dovuto prima rivolgersi a un bel pezzo di mondo, a 81 nazioni, raccogliendo (e «fotografando» in un giorno, un'ora, un minuto preciso, perché il virus non si comporta come una povera cavia che gira in tondo nella sua gabbietta e ne puoi fare ciò che vuoi) il numero delle loro vittime, con le relative età. Poi hanno applicato a tali numeri un «modello» che grossomodo si chiama «delle aspettative di vita», cioè quanto, presumibilmente, stando in quel posto, con il tipo di esistenza che conducevano e via elencando, mancava alle vittime da vivere.
Infine hanno tirato una riga ed è venuto fuori che, mediamente, ogni assassinato dal virus ha perso 16 anni. E che il pianeta Terra, limitatamente agli umani, è stato defraudato (ma fra un giorno, un'ora e un minuto saranno di più) di 20,5 milioni di anni.
Se consideriamo che 25 milioni di anni fa vivevano in Africa le prime scimmie antropomorfe, cioè le scimmie decisamente meno scimmie delle altre, quelle che si apprestavano a diventare uomini, e infatti vengono chiamate Hominoidea (lo scriveva lo Scientific American nel 2013), più che senza parole, restiamo senza tempo da perdere, nel darci dentro notte e giorno con i vaccini, invece di perderci in chiacchiere o in litigi da scimmie isteriche.
Il segno «meno» davanti al 16. Sedici anni, l'età più bella: non sei ancora uomo né donna (ma non più scimmia, almeno) e già pregusti di esserlo. Hai dato soltanto qualche morso alla vita e ti è piaciuta subito, te ne sei innamorato prima che della compagna di classe che ti sembrava più carina delle altre.
Per te il passato era soltanto quello di verdura che invece non ti piaceva, e il futuro era a portata di mano, dietro ogni angolo, non una proiezione come quelle della trigonometria che, da liceale, ti facevano dannare. Non avevi ancora la patente, ma ti sentivi potente, invincibile, mentre immortale sapevi già di non essere, perché qualcosa di molto brutto ti aveva tolto qualcosa di molto bello, per esempio i nonni.
Sedici anni con il segno «meno» davanti, come quelli che ci ha comunicato il Center for Research in Health and Economics della Pompeu Fabra University di Barcellona, sono una contraddizione in termini. È come dire che l'umanità, secondo molti oggi vicina più che mai alla fase conclusiva della sua senilità, non è stata giovane, non ha mai avuto la fretta di non aspettare. Sono i sedici anni da aggiungere idealmente su tutti i certificati di morte delle vittime del virus. E poi dicono che la statistica è una scienza.