Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Archeologi in Siria: che fare? Riprendere a scavare come nulla fosse stato, oppure rifiutare di collaborare con un regime macchiato di crimini orribili? «Sino a prova contraria, ciò che resta dei siti è ancora al suo posto e solo le autorità e gli archeologi siriani rimasti possono cercare di restaurarli dopo i vandalismi dell' Isis.
Ecco perché è nostro compito aiutarli al meglio», ci spiega pragmatico e disincantato l' italiano Paolo Matthiae, il celebre scopritore delle tavolette di Ebla che a 77 anni, di cui circa 50 trascorsi a scavare in Siria, resta il decano dei tanti studiosi che da tutto il mondo hanno operato nel Paese. A lui si affiancano i colleghi (non sono pochi in Italia e all' estero) disposti a scendere a patti con il regime di Assad pur di ritornare.
francesco rutelli paolo matthiae organizzatori mostra sulla siria splendore e dramma
«Assolutamente no. Impossibile far finta che non sia accaduto nulla. Non si tratta con la dittatura. Si passerebbe per collaborazionisti di un regime sanguinario, repressivo, macellaio che cerca anche nel ritorno degli archeologi stranieri un modo per riacquistare legittimità agli occhi della sua popolazione e sul teatro internazionale.
Tornare significa diventare complici dei massacratori», replicano i contrari, tra cui Marc Lebeau, noto studioso di Bruxelles scopritore del sito di Tell Beydar, e Annie Sartre Fauriat, anch' essa ricercatrice del Vicino Oriente, oltre a diversi nomi celebri come Piotr Steinkeller, che insegna a Harvard e Cambridge e Gonzalo Rubio della Pennsylvania State University.
Le loro lettere aperte di condanna al«collaborazionismo» dividono gli accademici. Tra i critici non mancano gli italiani come Maria Giovanna Biga, della Sapienza di Roma, la quale con Matthiae ha intavolato uno scambio non proprio amichevole di email di chiarificazione-accusa, in realtà destinato a riacuire lo scontro.
Punto di partenza di questa vera e propria «guerra tra archeologi» è l' ormai noto convegno tenuto a Damasco l' 11 e 12 dicembre scorsi per volere del ministero delle Antichità siriane assieme a quello del Turismo con l' intenzione di riprendere i lavori e restaurare i siti danneggiati. Il regime per facilitare l' arrivo degli studiosi dall' estero non ha richiesto visti, in più ha organizzato i trasporti in Siria.
Tra gli italiani, Giorgio Buccellati, noto per i suoi scavi a Urkesh, ha steso una delle più rilevanti relazioni in cui magnifica gli interventi delle autorità locali a salvaguardia dei reperti, specie a Palmira. «Non ho potuto esserci per motivi famigliari, ma ci sarei andato molto volentieri e comunque ho inviato la mia relazione», dice Matthiae.
Ma critiche durissime arrivano dai colleghi siriani espatriati per non cadere nelle mani della polizia segreta di Assad. Sette di loro hanno firmato uno degli appelli più noti per il boicottaggio. «Impossibile lavorare in Siria. Il regime continua a reprimere e uccidere. Oltre il 70 per cento di noi è fuggito all' estero, restano solo quelli asserviti. Inoltre i bombardamenti indiscriminati russi e dell' aviazione di Damasco hanno provocato più danni all' archeologia e al patrimonio storico che non tutti i vandalismi dell' Isis messi assieme», ci dice un archeologo di Aleppo.
Un dato questo confermato da altri colleghi scappati in Europa: quelle stesse autorità che oggi vorrebbero presentarsi come paladine del ripristino del retaggio culturale ne sono state in effetti i peggiori vandali. Le bombe siro-russe sarebbero cadute copiose sui tesori di Palmira, Ebla, Krak dei Cavalieri, sui centri storici di Ariha, Idlib, Homs, Hama, e sulle parti più antiche di Aleppo a partire dal mercato coperto. Per cercare un possibile compromesso, un gruppo di archeologi «critici» ha smussato i toni, proponendo una «carta etica» per chi opera in regioni controllate dalle dittature. Ma la polemica resta aspra. Commenta Matthiae: «Concordo con l' 80 per cento di quel documento. Ma le accuse contro di me sono state troppo offensive. Esigo scuse formali prima di firmarlo».