DISSERVIZIO SANITARIO NAZIONALE – IN 10 ANNI (DAL 2010 AL 2019) SI SONO PERSI 25 MILA POSTI LETTO DI RICOVERI ORDINARI. GLI ISTITUTI DI CURA SONO DIMINUITI DA 1.165 A 1.054 E SI È PROSCIUGATA LA PLATEA DEI DIPENDENTI DI OLTRE 42.300 UNITÀ CON IL DEFINANZIAMENTO CHE HA RAGGIUNTO I 37 MILIARDI – LA PREVISIONE CATASTROFICA: “DOPO LA PANDEMIA SI RISCHIA IL COLLASSO…”

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Margherita De Bac per il "Corriere della Sera"

 

CORSIA OSPEDALE CORSIA OSPEDALE

È bersaglio di acerrime critiche il servizio sanitario nazionale. Il Forum delle società scientifiche di clinici ospedalieri e universitari lo rimette sotto accusa con una sfilza di numeri negativi.

In 10 anni (dal 2010 al 2019) persi 25.000 posti letto di ricoveri ordinari, diminuiti gli istituti di cura da 1.165 a 1.054, prosciugata la platea dei dipendenti di oltre 42.300 unità. Ha raggiunto i 37 miliardi di euro il definanziamento della sanità: prima a soffrirne la rete degli ospedali. Oggi il fondo è risalito a 124 miliardi, 10 in più rispetto al 2019, con un incremento annuale che, non perde occasione di ricordare il ministro della Salute, Roberto Speranza, è superiore alle aggiunte precedenti.

 

Nel 2019 si partiva con 10 miliardi in meno.

«Gli ospedali già erano al limite dei loro mezzi, fiaccati da anni di politiche miopi.

Dopo la pandemia rischiano il collasso», enumera i disastri l'oncologo Francesco Cognetti, coordinatore di Forum.

 

corsia ospedale corsia ospedale

Una delle conseguenze più visibili è la crisi cronica dei pronto soccorso a corto di personale, coi medici che fuggono verso reparti meno penalizzanti. Il territorio resta povero di servizi di prossimità, vicini ai pazienti che, se ne potessero usufruire, non sarebbero costretti a cercarli altrove, nei luoghi deputati a trattare i casi gravi, le emergenze. Varie leggi sono intervenute per metterci le pezze, senza mai determinare una vera sterzata.

 

Una svolta potrebbe essere l'applicazione della riforma dell'assistenza territoriale, da realizzarsi con i fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), contenuta nel decreto ministeriale approvato lo scorso 20 maggio dal Consiglio di Stato che lo ha definito «in grado di fornire risposte efficaci» e valide alternative all'ospedale.

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Previste, tra l'altro la creazione di Case di comunità, il potenziamento delle cure domiciliari, l'integrazione tra assistenza sanitaria e sociale, servizi digitalizzati, coinvolgimento di «tutti gli attori della sanità», farmacie comprese.

 

Le Case di comunità sono i luoghi «fisici e di facile individuazione per i cittadini» dove lavorano in modalità integrata e multidisciplinare tutti i professionisti. Le più grandi devono servire 40-50mila abitanti.

 

Siamo vicini? È davvero una panacea? No, secondo Cognetti il piano «è insufficiente. Noi chiediamo più risorse, riuniamoci attorno a un tavolo per affrontare i gravi problemi. Il modello va rivisto e deve assicurare il collegamento fondamentale tra i luoghi di cura». La proposta di Forum è «ripensare i parametri in base ai quali definire il numero di letti ospedalieri». Devono crescere a 350 ogni 100.000 assistiti, fino a raggiungere la media europea di 500. Per quanto riguarda le terapie intensive, lo scenario migliore sarebbe il superamento di 14 letti ogni 100.000 abitanti.

 

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All'inizio della pandemia erano la metà, dotazione che ci metteva in condizione di inferiorità rispetto ai Paesi europei più evoluti. Il decreto rilancio del 2020 ha stabilito il raddoppio. E adesso a che punto siamo? Quanti letti sono stati mantenuti, quanti ancora da realizzare? I dati mancano, oppure sono frammentati tra Regioni. Il ministero non è in grado di fornire il quadro nazionale aggiornato.

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