Marco Giusti per Dagospia
“Dica Duca”. Lo sappiamo tutti che “Bridgerton”, la nuova serie magari un po’ cafona, un po’ troppo americana, con bianchi e neri che fanno i nobili inglesi del primo ’800, ma di gran divertimento, appena uscita su Netflix ideata da Chris Van Dusen e Shonda Rhimes, i geni di “Grey’s Anatomy”, tratta dalla saga della scrittrice americana Julia Quinn, ha salvato il nostro Natale. Certo se ci avessero dato a tutti il vaccino, sarebbe stato meglio… Se ci avessero fatto vedere i nipotini pure… Che volete farci?
Consoliamoci così… tutti inchiodati a vedere le prime otto puntate dedicate all’amore della bella, casta e palpitante Daphne Bridgerton, la giovanissima inglese di Manchester Phoebe Dynebour, per il bonissimo (e sempre con il sedere di fuori altro che Edwige…) Simon Battel, duca di Hastings, l’afro-inglese René-Jean Page. Ma ci vorranno qualcosa come cinque puntate solo per vedere il primo bacio fra i due. Smack! Prima si dicono che sono solo amici. Si. Vabbé. Lei civetta con un bel principe austriaco che le regala una collana di brillocchi e la vuole sposare. Lui è geloso.
Poi ci sono complicazioni. Lui non si vuole sposare. Ma proprio per niente. Così il fratello di lei, Anthony, Jonathan Bailey, che ama una cantante d’opera italiana alquanto scostumata, lo sfida a duello. Bang! Poi lui non la vuole scopare. E se lo fa, non vuole figli. E perché non vuole figli? Sul più bello tira via l’arnese. Ecchesifacosì?! Il resto ve lo vedete. Ma la parte migliore, a parte il sedere molto esibito di Simon che fa impazzire le ragazzine e il pubblico non troppo etero della saga, è tutto il contorno civettuolo della Londra della stagione delle debuttanti e delle feste.
Cafonal del 1820. Non ci sono i fotografi, ma c’è già il gossip giornaliero alla Dago vecchia maniera dell’anonima Lady Whistledown, con la voce meravigliosa di Julie Andrews, la nostra e unica Mary Poppins. Tutti seguono i pettegolezzi del suo fogliaccio. Sia la famiglia Bridgerton, con la mamma vedova Lady Violet, Ruth Gemmell, i figli maschi, Anthony-Benedict-Colin, la sorellina di Daphne, la buffa Eloise di Claudia Jessie. Sia la famiglia più scaciata di Lady Portia Featherlington, una notevole Polly Walker, con le tre sorelle bruttine in cerca di marito capitanate dalla scatenata Penelope di Nicola Coghlan, ha già i superfan su Twitter. Mettiamoci ancora la regina, una modista che se la fa con uno dei ragazzi Bridgerton, la saggia Lady Danbury di Adjoa Andoh. E le feste interminabili con vestiti e dolcetti.
Una sorta di “Orgoglio e pregiudizio” pensato dagli americani per i tempi dei social e la visione compulsiva di Netflix, ma girato con buoni attori inglesi sia bianchi che di origini africane, forse più adatti alla bellissima serie di Steve McQueen “Small Axe” che da noi non si riesce a vedere, ma vedrete che se la tengono per gli Oscar. Va giù benissimo assieme al panettone e alla nostalgia di un Natale che non è stato.
Che altro posso consigliarvi? Beh. Se avete già visto “Ma Rainey’s Black Bottom” di George C. Wolfe con gli strepitosi Viola Davis e Chadwick Boseman, sempre su Netflix, vi consiglio su Amazon un altro film da Oscar 2021, “Sylvie’s Love”, scritto e diretto da Eugene Ashe come se fosse un vecchio mélo di Douglas Sirk aggiornato al nuovo cinema afro-americano di oggi. Siamo nellla New York del 1962, fra jazzisti alla Coltrane e la gloriosa prima tv degli show americani. Lei, Sylvie, la Tessa Thompson di “Westworld”, sogna di far tv e, mentre aspetta il fidanzato partito per la guerra di Corea, si innamora pazzamente di un sassofonista di gran classe, certo Robert Halloways, interpretato dal pennellone Nnamdi Asomugha, già vero campione di rugby con gli Oakland Raiders.
Nel suo gruppo troviamo anche il bel René-Jean Page di Bridgerton, attenzione! I due si amano, lei rimane incinta, ma non riesce a dirglielo. Intanto lui parte in tournée per Parigi col suo gruppo. Si rivedranno cinque anni dopo. Lei si è sposato col fidanzato tornato dalla guerra, ha avuta la figlia del sassofonista e cerca di trovare la sua identità lavorando in tv. Quando incontra lui, l’amore della sua vita, che non sa della figlia, ma che è rimasto innamorato a lei.
Ma il jazz non va più di moda ai tempi della Motown. E’ un lungo mèlo, lo ripeto, di scuola sirkiana, cioè che va visto proprio perché non tende a chiudersi con una storiella, ma va avanti nel tempo per distendere bene storia e personaggi. Ma, nell’ottica attuale, deve dare spazio alla svolta femminista di Sylvie, alla sua indipendenza in un mondo di maschi e di bianchi. Ormai siamo abituati. Ottimo film, fece colpo al Sundance lo scorso febbraio, lancerà probabilmente Tessa Thompson nella corsa agli Oscar come migliore attrice protagonista.
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