Vittorio Macioce per “il Giornale”
Dicono che sono tornati. Si muovono in branco, diffidenti, con quel qualcosa di antico che portano nel sangue, nelle ultime campagne lontane dalle luci della città o ai margini dell' Appia, lì dove comincia il parco, dove la notte ti sembra ancora di ascoltare il gemito dei crocefissi, gli schiavi e i gladiatori dannati sotto il segno di Spartaco, uno dopo l' altro, a un metro di distanza.
Davvero i lupi sono di nuovo qui? Sono anni che gli allevatori fanno il conto delle bestie da latte e qualcosa non torna. Parlano dei resti di pecore e agnelli e battono cassa. Solo che mica tutti ci credono. I lupi stanno nelle riserve, sui monti dell' Abruzzo.
Sì, è vero, li hanno fotografati perfino alle porte di Piacenza, ma qui no, qui sarebbe tutta un' altra storia. Vedrai che sono solo ibridi, bastardi, cani randagi che hanno sentito il richiamo della foresta. Non può essere lui, anzi lei, perché la lupa che si riaffaccia a Roma sembra quasi una reincarnazione.
Rumia che torna nell' urbe eterna è una suggestione. La dea madre che ha salvato i gemelli sull' ansa del Tevere, lì dove i due colli, Palatino e Campidoglio, si incrociano, sembra l' invenzione di Matteo Rovere.
Sa troppo di Primo re e di Romulus e ci manca solo la voce dei pastori che parlano in protolatino. Roma che torna alle origini della leggenda. Ascanio, figlio di Enea, che fonda Alba Longa sulla riva destra del biondo fiume. I secoli che passano, fino a quando Amulio scaccia il legittimo sovrano, suo fratello Numitore e costringe la figlia a diventare vestale. Non deve avere figli. Solo che al dio della guerra mica puoi dire di no. Così Rea Silvia si ritrova in grembo i figli di Marte e per salvarli li abbandona, come Mosè, nelle acque.
Sono Romolo e Remo. A trovarli sarà Acca Larenzia e non è detto che la lupa sia proprio lei, lupa di strada, lupa da postribolo.
Remo e Romolo, gemelli che fondano la città senza tempo.
Ma si può governare in due? Allora tracciano un segno nel terreno: qui è mio e là è tuo. Uno è di troppo. Romolo uccide Remo. È così che nasce Roma, con un fratricidio e da allora saranno sempre romani contro romani, bagnando la storia con il sangue delle guerre civili. È questo la lupa che torna a Roma. È sangue e lotta e potere e caput mundi e sesso. La lupa, in fondo, è anche i lupercali, la festa di purificazione e baldoria dove tutto è permesso. I giorni sacri di metà febbraio. Non è da lì forse che ci arriva il carnevale?
È come se Roma, sfiorita e disorientata, richiamasse le sue origini. L' Urbe che richiama il suo spirito per riconoscersi.
Cos' altro può accadere? Magari ridare carne e vita al Colosseo. I marmi e le statue sono persi per sempre, ma dentro potrebbero riaccendersi le luci del palcoscenico. Immagina l' anfiteatro Flavio come l' Arena di Verona. Ecco, ci stanno pensando. L' idea è dell' archeologo Daniele Manacorda. Ne parlò nel 2014. Ora Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, annuncia che si farà un bando per la nuova arena. Dice che si può fare.
Servono lavori tecnologici e di ristrutturazione, ma un giorno il Colosseo tornerà a ospitare spettacoli di teatro, danza e musica. No, questa volta, si spera, non ci saranno sacrifici. Niente bestie feroci e il pollice su e giù della plebe a suggerire vita e morte dei gladiatori. Resta solo quella grande croce di legno, l' ama il tuo prossimo dei primi cristiani.
Non è tempo questo di credere nei segni. È come se Roma, però, avesse davvero bisogno di ritrovarsi. Non può essere la città che va alla deriva, naufraga, che non riesce neppure a pensare a un futuro e sembra ogni giorno che passa perdere un pezzo di passato. Roma che da tempo non sa più cosa essere: centro della cristianità, museo a cielo aperto, simbolo di potere e corruzione, disincantata e strafottente, indolente per il suo aver visto troppo. Roma che sa essere soltanto tutto e niente. E da tempo purtroppo si sente niente.
Roma che è una bestemmia vederla vivacchiare, tra topi e cinghiali, marciumi e odori che nei pomeriggi di estate ti si attaccano alla pelle. Roma che non può fare il giro del mondo perché il suo Natale è spelacchio. Roma che a piazza di Torre Argentina aspetta ancora un segno per dire che lì, proprio lì, il giorno delle idi di marzo, Giulio Cesare ha ricevuto ventitré coltellate.
No, la lupa e il Colosseo non sono un segno di rinascita. È solo la voglia di vederci un po' di speranza, forse solo un modo come un altro per illudersi. Una cosa invece è certa. Roma ha una voglia disperata di raccontarsi e se si comincia a narrare ci si può stare mille anni. Roma è eterna perché le sue storie non finiscono mai.
COLOSSEO RIAPRE L ATTICO 3 colosseo