Articolo di Hans Brandt pubblicato da “la Repubblica” - Traduzione di Emilia Benghi
thomas eric duncan primo malato di ebola in america
Nei mercati della Sierra Leone, della Liberia, Ghana, Camerun, Congo, Uganda e Ruanda i cumuli di grate di legno con scimmie, ratti, pipistrelli e istrici affumicati in vendita sono la normalità. La selvaggina della foresta pluviale è un alimento base in molte zone dell’Africa: dove fa sempre caldo e non esistono frigoriferi il modo migliore per conservare la carne è l’affumicazione. Cucinata in umido, speziata, accompagnata da manioca, la carne di scimmia sa di fumo per i palati non avvezzi, ma per gli indigeni è una prelibatezza. Ma soprattutto un pericolo mortale.
«Noi umani siamo ospiti casuali del virus, da cui veniamo infettati durante la caccia o la macellazione e uccisi nell’arco di due settimane», spiega Peter Piot. L’epidemiologo belga nel 1976 fece parte del team che scoprì in Congo il virus. Oggi a capo dell’Istituto di Igiene e Medicina Tropicale di Londra, Piot è un esperto a livello mondiale degli agenti patogeni che si trasmettono dagli animali all’uomo.
Dal suo studio, circondato da maschere e stoffe africane, torna a lanciare l’allarme sulle disastrose conseguenze dell’epidemia Ebola e a spronare i Paesi industrializzati a fornire con urgenza aiuti più consistenti. «Ebola è un semplice da circoscrivere. Si tratta di basilari norme igieniche: isolamento, quarantena e protezione del personale addetto». Che è quel che manca in Guinea, Sierra Leone e Liberia, paesi tra i più poveri del mondo, che escono da decenni di guerra civile.
Nel 1976 quando Piot lavorava come giovane medico ad Anversa. «Ci arrivarono due provette contenenti il sangue di una suora belga morta in Congo di un morbo sconosciuto». Un medico di Kinshasa aveva messo le provette in un termos riempito di ghiaccio e aveva spedito il tutto in Europa come pacco postale.
Nessuno sapeva che il termos blu conteneva un agente patogeno letale. «Quando il termos arrivò da noi il ghiaccio si era sciolto, una delle provette si era rotta e la seconda galleggiava in un misto di schegge, sangue e acqua». Nel momento in cui se ne stabilì il grado di pericolosità il virus fu trasferito in un laboratorio di massima sicurezza negli Usa e Piot partì per il Congo con un team internazionale a guida americana per scoprire l’origine del nuovo pericolo.
«Dal punto di vista del virus l’uomo non è un buon ospite», spiega oggi Piot. «Moriamo troppo in fretta. Ma il virus colpisce dove gli uomini sono più deboli, in condizioni di povertà e in assenza di un sistema sanitario».
In Africa occidentale si profila una catastrofe di dimensione completamente diversa, avverte. Si è venuta a creare una “tempesta perfetta”: «È la combinazione di regimi corrotti, diffidenza nei confronti della medicina occidentale, riti tradizionali di inumazione e la reazione tardiva delle autorità nazionali e internazionali». L’Oms ha dichiarato lo stato di emergenza solo in agosto.
«Ci siamo mossi tutti in ritardo», dice Piot. La settimana scorsa ha di nuovo lanciato l’allarme. «In assenza di un massiccio incremento degli aiuti sarà impossibile controllare l’epidemia», scrive insieme all’esperto di malattie tropicali Jeremy Farrar dell’università di Oxford sul New England Journal of Medicine .
Uno scenario terrificante: «Ebola ha raggiunto uno stadio tale da poter essere considerata endemica. In altri termini: forse non è più possibile debellare il virus in Africa occidentale. Il che non solo comporterebbe decine di migliaia di morti ma metterebbe in ginocchio i paesi della regione. E non sarebbe più possibile impedire la diffusione del virus in tutto il mondo».