Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani per il “Corriere della Sera”
Le bugie di Prato, 36 ore di buio e 23 verbali che male si incastrano tra loro. Riparte da qui l’inchiesta sulla morte di Luca Varani, con tanti dubbi ancora da sciogliere. Come e perché è stato attirato in quella casa al Collatino. Chi e quando ha deciso di ucciderlo. Cosa è successo nelle ore successive alla sua morte, se cioè qualcun altro ha visto il cadavere prima dell’arrivo dei carabinieri.
Gli autori dell’omicidio sono due, ma ruoli e complicità psicologica fra loro sono tra gli aspetti più insondabili del delitto. Da una parte c’è Manuel Foffo, che nega con forza di essere omosessuale, ma si autoaccusa dell’aggressione (coltellata fatale a parte). Dall’altra Marc Prato, che racconta con dovizia di particolari la parte orgiastica di quei tre giorni, ma si scarica di ogni responsabilità sull’omicidio.
Fra i due — ne è convinta la Procura — chi ha ancora molto da dire è il secondo, che in linea con la sua personalità istrionica potrebbe aver raccontato una verità di comodo, se non addirittura mentito al gip nell’interrogatorio di garanzia. Per questo, il 29nne animatore delle feste gay della Capitale sarà risentito a breve dal pm Francesco Scavo, che punta a stanarne le contraddizioni.
Non ultima, quella del tentato suicidio, la sera dopo aver ucciso Varani: se davvero Prato avesse ingerito le tre boccette di Minias e quella di En ritrovate nella camera d’albergo dove si era rintanato e acquistate in due diverse farmacie da Foffo con una semplice ricetta, difficilmente — è il ragionamento di chi indaga — ne sarebbe uscito vivo. Soprattutto dopo aver consumato, in compagnia del complice, 26 grammi di cocaina tagliata con altre sostanze e bevuto alcolici in grande quantità.
Ma i buchi nel racconto di Prato non sono i soli sui quali anche ieri si sono confrontati magistrato e carabinieri per fare un punto sulla mole di materiale raccolto. In mano agli inquirenti ci sono 23 verbali di sommarie informazioni che al momento sono tessere di un puzzle che non combaciano.
Orari, spostamenti, presenze nella casa vanno ricostruiti. Sono confuse le testimonianze di chi in quella casa è passato prima del delitto: Alex, che nega di aver consumato droga e sarebbe «sfuggito» a un tentativo di addormentarlo; Giacomo, sentito a Milano (sarà risentito a Roma) che non è chiaro a che titolo abbia fornito il suo bancomat per comprare la cocaina. Lo stesso Roberto, fratello di Foffo, convocato per errore o forse no, per unirsi al gruppo. È poi incoerente il racconto della misteriosa bionda che avrebbe visto la mattina del 4 marzo Luca in treno ricevere le chiamate da casa Foffo.
E sono da approfondire le versioni dei genitori di Manuel, i primi a sapere del delitto. Luca Varani muore alle 9,30 di venerdì, i carabinieri lo trovano la sera di sabato alle 22, dopo che il padrone di casa si è costituito. Parte del tempo è trascorso con i killer addormentati accanto al cadavere, ma potrebbe essere accaduto dell’altro.
E va capito anche perché il 23enne Varani sia andato in quell’appartamento. Quante volte è stato contattato e da chi? Che tono avevano quegli «inviti»? Era una vittima designata o solo quella ritenuta adatta dopo aver scartato prede meno vulnerabili, in una sorta di drammatico casting?
Parte delle risposte possono arrivare dagli esami scientifici. Oggi sarà approfondita l’autopsia per stabilire la successione dei 30 colpi (fra martellate e coltellate) inferti al ragazzo e mercoledì la salma verrà restituita alla famiglia per i funerali. Ieri intanto è stato effettuato il prelievo di sangue per il test antidroga su Foffo, mentre il risultato degli esami tossicologici su Varani è atteso alla fine del mese.
Sarà poi esaminato il contenuto dei telefoni dei due aggressori — video, chiamate, messaggi — in cerca di prove e indizi. La Procura è ferma nel proposito di ricontestare l’aggravante della premeditazione, caduta al primo esame del gip proprio per le versioni contrastanti dei due unici testimoni di un delitto meno chiaro di come sembrava all’inizio.