Fabio Tonacci per La Repubblica
«Cosa Nostra, 'ndrangheta e Sacra Corona Unita, sono da sempre unite fra loro. Sarebbe meglio dire sono una cosa sola ». La chiave migliore per rileggere ciò che è successo tra il 1991 e l' inizi del 1994 in Italia l' ha fornita agli investigatori Gioacchino Pennino: massone, borghesia palermitana, uomo d' onore della famiglia Graviano di Brancaccio. E collaboratore di giustizia. Un giorno di tre anni fa al pubblico ministero reggino Giuseppe Lombardo ha raccontato i collegamenti tra le grandi mafie: «Non vi deve sorprendere...».
Solo tenendo a mente questo Consorzio occulto, partecipato da massoneria e servizi segreti deviati, "la Cosa sola", si riesce a dare una collocazione all' inchiesta "ndrangheta stragista" della procura di Reggio Calabria, che ha portato alla cattura di Rocco Santo Filippone, capocosca 77enne legato ai Piromalli, e a un nuovo mandato di arresto per Giuseppe Graviano, il boss detenuto a Terni. Un calabrese e un siciliano.
Sono accusati di essere i mandanti dei tre attentati contro i carabinieri avvenuti tra il 1993 e il 1994 nella periferia di Reggio in cui morirono Antonino Fava e Giuseppe Garofalo. Finora si conosceva chi aveva sparato: Consolato Villani e Giuseppe Calabrò. Adesso, con l' indagine coordinata da Lombardo e dal sostituto procuratore della Dna Francesco Curcio insieme alla squadra mobile di Reggio, si è capito chi li mandò. E perché.
Dopo Capaci e Via D' Amelio, Cosa Nostra chiese alla 'ndrangheta di partecipare alla strategia del terrore («per dare il colpo di grazia allo Stato») cominciata con l' omicidio dell' ispettore Lizzio il 27 luglio 1992 a Catania. Si tennero tre riunioni tra siciliani e calabresi (a Melicucco, Rosarno e Oppido Mamertina) nell' autunno di quel 1993. Un altro incontro, decisivo, nel villaggio turistico Sayonara a Nicotera Marina. La 'ndrangheta accettò.
C' è da chiedersi come sia possibile che un personaggio del calibro di Rocco Santo Filippone, tramite tra le due sponde mafiose del Tirreno, fosse ancora a piede libero. Un pentito parlò di lui già nel 1983 all' allora procuratore di Palmi Giuseppe Tuccio. «Lui (Tuccio, attualmente sotto processo per violazione della legge Anselmi, ndr) mi guardò e mi disse: "Filippone è un amico di un mio amico di Reggio". Il suo nome non finì nel verbale».
L' inchiesta riscrive un pezzo della storia d' Italia, allungando la stagione delle stragi sul continente dalle bombe del 1993 a Roma, Firenze e Milano fino agli attentati contro i carabinieri di Reggio e al piano di far saltare 120 kg di tritolo allo stadio Olimpico, fallito perché non funzionò il telecomando dell' ordigno. «Una strategia condivisa - si legge nell' ordinanza - da schegge di istituzioni deviate, collegate a servizi di informazione che all' epoca mantenevano contatti con la P2 di Gelli».
Il riferimento è a una frangia del VII reparto "Ossi" del Sismi, che fino alla caduta del Muro si occupava di Gladio. Nell' ottica della ricerca dei "suggeritori occulti" delle stragi, filone d' indagine tuttora aperto, sono state perquisite le case di Bruno Contrada, ex numero due del Sisde, e l' ex 007 Giovanni Aiello, il famoso "Faccia di mostro".
LA MADONNA DELLA NDRANGHETA SANTUARIO DI POLSI LANNUALE PROCESSIONE CHE RIUNISCE LE PRINCIPALI NDRINE CALABRESI jpeg
Nelle carte ci sono anche le parole di Graviano durante colloqui in carcere, probabilmente sapendo di essere intercettato, ma che per i pm dimostrano «la convergenza nel 1994 fra le mafie e Forza Italia»: «Berlusconi pigliò le distanze, fece il traditore» (19 gennaio 2016); «nel 1994 lo stavano proprio togliendo il 41 bis, c' era la Maiolo (Tiziana, ex presidente commissione Giustizia della Camera)... poi arrivò Bossi» (22 gennaio 2016); «Sicilia Libera era secessionista, dopo il mio arresto l' hanno fatta fondere con Forza Italia» (22 gennaio 2016); «nel 1992 Berlusconi voleva già scendere, mi incontravo con lui, rapporto bellissimo, mangiavamo insieme» (10 aprile 2016).
(ha collaborato Alessia Candito)