Niccolò Carratelli per "la Stampa"
Prima di pubblicare l'ennesima foto (superflua) su Instagram, pensate all'impatto ambientale di quel click. Perché magari non mangiate carne, vi muovete solo a piedi o in bici, non toccate una bottiglia di plastica da anni, ma se poi raccontate tutta la vostra vita super ecologica sui social, l'impronta di CO2 che lasciate sulla Terra è comunque ben visibile. La "sobrietà digitale" è un concetto molto caro a Roberto Cingolani, che non perde occasione per ricordarlo, soprattutto quando parla con i più giovani.
Ieri, durante un incontro sul web con studenti delle scuole superiori, il ministro della Transizione ecologica è tornato alla carica: «Il digitale produce il 4% della CO2 planetaria - ha spiegato - il traffico aereo, per fare un confronto, ne produce il 2%. E metà delle emissioni inquinanti del digitale viene dall'uso smodato dei social».
Insomma, tutte le nostre frenetiche attività su Facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp e simili, ogni anno produrrebbero gas serra in quantità simile a quella provocata da tutti i voli (passeggeri, cargo, militari) che attraversano i cieli del mondo. In realtà, non esistono stime certe, a livello globale, sull'energia direttamente consumata dall'enorme calderone dei "prodotti e servizi digitali".
Il 4% citato da Cingolani parte probabilmente dal 3,7% indicato in un rapporto di "The Shift Project", un think thank francese che promuove la decarbonizzazione. Stima già vecchia, se pensiamo che l'energia consumata per usare tutte le apparecchiature digitali che sono sul pianeta cresce al ritmo del 9% annuo. In quel documento, pubblicato nel marzo 2019, i social network non vengono citati esplicitamente, mentre si sottolinea come la visione di video online rappresenti la fetta più grande del traffico internet mondiale (60%) e generi 300 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno, circa l'1% delle emissioni globali.
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Questo perché, oltre all'energia utilizzata dai dispositivi, c'è quella consumata dai server e dalle reti che distribuiscono i contenuti. "Sporchi" non solo perché inquinano: la pornografia rappresenta un terzo del traffico di streaming video, generando tanta anidride carbonica quanto il Belgio in un anno. Il resto, ovviamente, è appannaggio di Youtube, Netflix, Amazon Prime e di tutte le clip che condividiamo sui social media. Loro, i social, si descrivono ecologici.
Ad esempio, Facebook (che controlla anche Instagram e WhatsApp) si è impegnata a raggiungere entro il 2030 il traguardo delle "emissioni nette zero", cioè un bilanciamento perfetto tra la quantità di CO2 prodotta e quella rimossa dall'atmosfera. Secondo l'ultimo rapporto sulla sostenibilità, pubblicato dal colosso fondato da Mark Zuckerberg, l'impronta di carbonio annuale di un utente è di 299 grammi di CO2 e (equivalente), quanto una tazza di tè. Poi dipende dal tipo di utente, dai post che pubblica: un video o un album di foto pesano molto di più di un testo scritto. L'esempio più usato da Cingolani, anche ieri davanti agli studenti, è invece quello dell'invio di una mail di 1 megabyte che «produce la stessa quantità di CO2 di una lampadina da 60 watt accesa per circa mezzora».
Durante l'incontro, il ministro è tornato anche sul delicato tema del nucleare, che «al 99% entrerà nella tassonomia europea, perché è un'energia verde, che non produce CO2, quindi ci sarà la possibilità di usarlo». In futuro, se in Italia si decidesse di cambiare idea e tornare sul nucleare, «non farei centrali di prima o seconda generazione - ha detto Cingolani - ma sono convinto che vada studiata la nuova generazione di reattori piccoli e modulari».
Comunque, se vi apprestate a verificare online le informazioni di questo articolo, sappiate che ogni singola ricerca su Google può produrre fino a 10 grammi di emissioni di CO2. E che la vostra sarà solo una delle 47mila ricerche processate ogni secondo in tutto il mondo, 3 miliardi e mezzo al giorno.
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