Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano”
La Regione Puglia, con una legge votata quasi all' unanimità (44 voti contro 1), «riconosce, valorizza e sostiene la funzione educativa, formativa, aggregatrice e sociale delle attività di oratorio». Per una volta la lingua di legno della burocrazia non mi dà fastidio. C' è una parolina che toglie la muffa all' eloquio dei legulei: oratorio.
Vuol dire preghiera, ma a me e a tantissimi che in questo momento, con questo caldo, tengono in mano Libero, farà venire in mente il ghiacciolo all' orzata o alla menta, e il prete sudato che dà un calcio al pallone tirando su la tonaca. Sarà ricordo romantico, ma c' è sostanza dietro queste immagini.
Molto più della scuola, è stato l' oratorio il primo luogo in cui la casa diventava più grande, la famiglia si apriva alla comunità, e si apprendeva a stare insieme, a giocare, amministrare la mancia comprando un bicchiere di spuma nera, imparando a essere leali, e che gli altri sono tutti uguali, ricchi e poveri.
La Puglia, da ieri, mette a disposizione di queste benemerite opere beni in comodato d' uso, inutilizzati o sottratti alla criminalità, e fornirà anche qualche soldo per sistemare i campetti sportivi oltre che, spero, riattrezzare il bar con il calcio balilla. Pochi quattrini in cambio di oro puro, perché sono oro oggi più di ieri gli oratori nel disastro sociale e nella solitudine in cui crescono bambini e ragazzi.
Cito anch' io, per far vedere che leggo Alberoni, il sociologo polacco Zygmunt Bauman, il quale descrive il mondo come una società liquida: almeno fosse acqua pura, invece è una palude fluorescente, ma solo per il riflesso della nafta, dove si è dissolta qualsiasi certezza non dico religiosa, ma educativa. Niente più regole elementari e rispetto. E gli oratori invece sono zattere nel naufragio.
In me parla la memoria del tempo che fu, ma anche l' osservazione del presente. Se aprite un attimo le finestre, sottraendovi all' aria condizionata, magari rischiate un colpo di calore, ma sentirete ancora un prete o una ragazzotta che chiama al megafono il gruppo di Abramo che deve sfidare la squadra di Giosuè a pallavolo, e poi via a dire una preghiera svelta.
Dopo anni di crisi - che è stata anche crisi dei preti e della Chiesa - negli ultimi anni, senza chiasso, senza pubblicità, senza servizi televisivi che li reclamizzino, sono tornati a fiorire in modo diverso, ma ci sono. Mi dicono che sono ormai centrali tecnologiche internet, facebook eccetera. Ma c' è una comunità umana che si guarda in faccia, ci sono sempre i ghiaccioli all' anice, e questo mi conforta.
Ho fatto una ricerca. In Italia gli oratori, che in Veneto si chiamano patronati, e al sud anche «ricreatori» (per distinguerli e in autentica alternativa ai riformatori), sono circa 8000, accolgono due milioni-due milioni e mezzo di bambini/e e adolescenti, che sono seguiti da 350mila «animatori» o «educatori».
Scopro che anche altre Regioni, apripista Lombardia Abruzzo e Veneto, si sono date norme analoghe. Non basta a redimirle dai peccati, ma per una volta hanno dimostrato di non essere enti dannosi. Nessuno ha avuto il coraggio, per ora, di gridare all' ingiustizia e alla discriminazione degli oratori musulmani o protestanti o atei: non ci sono. Diciamolo: dalle ideologie non nasce niente, salvo violenza; dal sudore dei campetti da oratorio viene su una buona gioventù.
Scopro che le regioni storicamente comuniste, Emilia-Romagna e Toscana in primis, sono tra le poche che non vogliono sentir parlare di denaro agli oratori e di riconoscimento del loro valore. Forse i compagni sognano ancora l' avvento tra noi dell' epopea cubana dei giovani pionieri che tagliano la canna da zucchero, ma bisogna basarsi sulla realtà storica. E quella degli oratori è la sola che regge da circa 500 anni.
Cominciò San Filippo Neri («fate i buoni se potete») a Roma nel 500: l' oratorio serviva a raccogliere insieme a pregare e a stare semplicemente insieme la gioventù in pericolo di adescamento criminale. Lo stesso in scala industriale nordica, si verificò in Lombardia grazie a San Carlo Borromeo, da quel dì resistono, non solo alla peste ma all' Azione cattolica. Poi dal Piemonte il fenomeno riesplose dall' incontro di don Giovanni Bosco con ragazzi «abbandonati e pericolanti», molti appena usciti dal carcere, tanti senza lavoro nella Torino industriale di metà Ottocento.
Don Bosco insegnava a lavorare, a correre e a pregare (le scuole professionali salesiane le ha inventate l' oratorio). In Val Seriana (Bergamo), i preti si trasformarono sin dal 700-800 in maestri del leggere e dello scrivere, al punto che in una terra poverissima l' 85 per cento della popolazione al tempo dell' Unità d' Italia era alfabetizzata. Altro che Stato.
Anche se c' erano i muri gli oratori non sono mai state caserme, ma una specie di oasi, con qualche pianta spinosa. Dove c' è posto per tutti, anche per quelli che a pallone menano. Ma dopo un po' non menano e non bestemmiano. Queste sono state le mie esperienze. Ce ne sono state di negative? Pedofilia? Ci sono stati casi tremendi, talvolta criminali, ma anche nelle pinete di Alice nel Paese delle meraviglie ci sono funghi velenosi. Non è un buon motivo per estirparle.
Non esiste solo lo Stato, lo Stato non arriva dappertutto, e quando ci arriva funziona spesso come la nettezza urbana a Roma. Però può e deve incoraggiare chi agisce bene. Dunque decidiamoci.
Sosteniamo gli oratori.
Ce ne sono che andrebbero indicati da commissioni dell' Onu o - ma qui esageriamo - da una delegazione guidata da Di Maio e Rodotà come modello pedagogico universale. Mi farà velo l' amicizia, ma anche no: ad Almè (stavolta Val Brembana) conosco come le mie tasche la struttura parrocchiale di don Mansueto Callioni popolata da una allegra fauna di cuccioli orobici e forestieri, frequentata da mamme e zie per preparare i casoncelli (ravioli locali) e la sera tutti, persino gli anziani, tirano il pallone. Nessuno che tiri coca. Cordialità, pulizia, educazione: gratis per tutti!
Qualcuno ha da ridire se la Regione finanzia? L' unica alternativa sono le sale giochi, ma quelle si finanziano fin troppo da sole e alimentano, come le sigarette, lo Stato. Ecco, quei denari buttati nelle macchinette, una parte dei quali finisce all' Erario, li si reinvesta non in fiori ma in opere di bene.