Paolo Salom per il "Corriere della Sera"
Il denso fumo nero che aveva avvolto il gioiello dei mari si poteva osservare dal centro di San Diego. Così come, il 12 luglio di un anno fa, si erano udite fino a venti chilometri di distanza le esplosioni, due, molto potenti, che avevano accompagnato il rogo della Uss Bonhomme Richard, meraviglia della Marina americana, in servizio attivo da poco più di vent'anni.
Costata tre miliardi di dollari, appena rinnovata - e aggiornata nelle sua capacità tecnologiche - per un costo di 200 milioni, la nave anfibia (simile a una portaerei ma più piccola) era stata consumata dalle fiamme in quattro giorni nonostante gli sforzi di uno squadrone di pompieri specializzati, una decina di rimorchiatori-spegni fiamme che l'hanno accerchiata con i loro potenti getti e anche elicotteri solitamente utilizzati quando a bruciare sono le foreste della California.
Tutto inutile, la Bonhomme Richard, dal nome di una fregata dei tempi della Guerra d'Indipendenza contro gli inglesi («Buon uomo Riccardo» in francese era lo pseudonimo di Benjamin Franklyn, uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti e ambasciatore a Parigi) era irrecuperabile, ridotta dal calore e dalla distruzione a un ammasso di ferraglia.
Tanto che la Marina non poté che venderla a una società di demolizioni per pochi milioni di dollari. Che spreco, che rabbia: un disastro così, in tempo di pace, la Marina non lo aveva mai vissuto. Ma ben presto era apparso chiaro che all'origine del rogo non c'era il fato o un tragico errore umano.
Bensì la fredda determinazione di un membro dell'equipaggio che, secondo gli investigatori del Ncis, l'unità anticrimine della Marina Usa celebrata anche dall'omonima serie televisiva, aveva appiccato l'incendio e allo stesso tempo disabilitato almeno tre apparati automatici per lo spegnimento delle fiamme.
Ora, a un anno di distanza, si è sollevato il velo di segretezza sull'inchiesta che ha reso impossibile dormire a più di un ammiraglio. Secondo gli inquirenti, dunque, il responsabile sarebbe il marinaio Ryan Sawyer Mays, 20 anni, originario del Kentucky.
Arrestato e spedito in cella per 56 giorni a poche ore dal disastro, Mays tuttavia è tornato in servizio: si dice innocente e i suoi avvocati ritengono il giovane del tutto estraneo: «Non ci sono prove», ha assicurato Gary Barthel al Navy Times.
Gli investigatori in divisa bianca e stellette del Ncis la vedono in modo differente e sono certi di riuscire a dimostrare la colpevolezza del marinaio di fronte alla Corte marziale. Dai documenti resi pubblici, emerge una volontà precisa di danneggiare la nave. Il rogo ha avuto inizio nella stiva dove, oltre a diversi automezzi, erano stipati scatoloni e altro materiale infiammabile.
Nel punto di innesco sono poi state trovate diverse bottiglie e contenitori in alluminio con residui di liquidi a base di benzina. E Mays? Il giovane, è stato spiegato, aveva provato qualche mese prima a entrare nei Navy Seal, gli incursori celebri in tutto il mondo, se non altro, per aver eliminato Osama bin Laden. Ma dopo solo cinque giorni di prove, Mays aveva dovuto gettare la spugna: non aveva i requisiti fisici e mentali per iniziare l'addestramento nell'unità più elitaria delle forze armate Usa.
Dunque, indispettito per il fallimento, è la tesi dell'accusa, spedito senza appello come semplice «apprendista» sulla Bonhomme Richard, Mays avrebbe maturato un desiderio di vendicarsi della Marina «ingrata».
Diversi commilitoni hanno raccontato, sotto giuramento, di averlo visto, poco prima che le fiamme iniziassero il loro lavoro di distruzione, proprio nella stiva dove tutto ha avuto inizio. Alcuni lo avrebbero persino sentito vantarsi di aver «provocato lui» il rogo, confermando un atteggiamento di insofferenza per la disciplina e uno «scarso amore» per la vita su una nave militare.
Su Instagram, il 14 giugno precedente, Mays aveva pubblicato una foto a petto nudo e la frase: «Adoro l'odore del napalm alla mattina», citazione dal film «Apocalypse Now» e, forse, l'ammissione preventiva di un disagio che lo ha portato al disastro.
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