Estratto dell'articolo di Elena Dusi per “la Repubblica”
Zii e cugini, figli e genitori. L’intera famiglia era riunita per guardare quell’apparecchio nuovo. A Marano Marchesato, paesino della Calabria a metà strada tra mare e montagna, per fortuna negli anni ’70 la luce non aveva ancora preso il sopravvento sul buio. «E mio padre, sempre curioso, aveva comprato un telescopio. Tutti i parenti erano stati invitati a vederlo».
Sandra Savaglio, che all’epoca era adolescente e oggi è un’astrofisica di 55 anni, lo chiama “una miccia”.
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la copertina di time su sandra savaglio
La scienza ha portato poi Savaglio alla Johns Hopkins University di Baltimora, l’ha fatta comparire sulla copertina di Time come simbolo dei cervelli in fuga, l’ha condotta in Germania all’Istituto Max Planck di fisica extraterrestre e da lì di nuovo in Calabria, sempre a Marano, che è a due passi da Rende, sede dell’università della Calabria.
Qui Sandra Savaglio oggi insegna astrofisica, nelle stesse aule dove ha studiato, scrive libri di divulgazione e partecipa alle attività del Parco astronomico Lilio. La famiglia nel frattempo si è allargata con Uta, la compagna, conosciuta in Germania. «Stiamo insieme dal 2002. Lei lavora a Monaco, ma appena possibile ci ritroviamo».
Perché tornare in Calabria?
«Mi ha chiesto di tornare il professore con cui mi laureai nel 1991. Era il 2012 e il governo aveva un programma per il rientro dei cervelli. Io gli risposi di sì, poi non seppi più nulla. Pensai che in Italia succede sempre così, che qualcuno si era messo di traverso. Invece più di un anno dopo ricevetti il messaggio: la procedura si è conclusa positivamente».
Il Max Planck è più prestigioso.
«La Germania non è sempre rose e fiori. Avevo già deciso di venir via. Mi avevano contattato da Parigi, ma quando ho ricevuto la chiamata dalla Calabria ho pensato: quella è casa mia».
Meglio della Germania?
«In Germania le cose funzionano e se non funzionano le aggiustano subito. La scienza è considerata importante e gli scienziati sono messi nelle migliori condizioni per lavorare».
E allora?
«Ma può essere sorprendentemente rigida, gerarchica, maschilista. Parlo del Max Planck dove ho lavorato: non esattamente un paradiso. In Germania le donne nella scienza sono poche e spesso straniere. Avevo una collega brava tedesca mandata via dopo 12 anni senza spiegazioni dal direttore dell’istituto, che si comportava come un imperatore».
Anche lei ha ricevuto torti?
«Io ho sempre avuto la bocca larga e ci fu un episodio che non passò inosservato. Gli istituti Max Planck sono soggetti a valutazione periodica da parte di comitati internazionali e fra gli argomenti toccati c’è la parità di genere. Nelle riunioni sono invitate solo le ricercatrici, ma quella volta si presentò anche la moglie di un direttore. La prima fila era vuota e io finii per sedermi lì. Non so come, non ne avevo l’intenzione, ma quando il comitato chiese se avessimo assistito a soprusi ai danni delle donne mi ritrovai con la mano alzata e riferii la storia della collega. Una ricercatrice italiana poi mi disse sorridendo: proprio tu che sei calabrese hai rotto l’omertà dell’istituto».
Come finì?
«Altre ricercatrici difesero l’istituto. E uno dei direttori, Reinhard Genzel, vinse il Nobel per la Fisica nel 2020. In un’intervista aggiunse che la collega premiata con lui non lo meritava. Anche questa è la Germania. E io mi ero fatta dei nemici».
In Calabria invece ha acquistato un’amica. Jole Santelli, presidente della Regione, all’inizio del 2020 le chiese di entrare in giunta per occuparsi di ricerca. Santelli era di Forza Italia. Perché accettò?
«Non sono di destra e mi arrovellai. Ma Jole mi aveva chiesto di aiutarla a cambiare la nostra bellissima regione. Amava la Calabria. Voleva vedere la legalità prevalere e puntava sulla ricerca. Come potevo dire no?».
Ha incontrato la‘Ndrangheta?
«So che c’è, ma non mi ha mai toccato direttamente. Per il telescopio Hubble ho lavorato alcuni anni a Baltimora, città da 300 omicidi all’anno. Se una volta ho rischiato la vita è stato lì, quando un folle è entrato a casa dal balcone a mezzanotte al sedicesimo piano. Negli Usa vai al cinema e sai che il tuo vicino potrebbe tirare fuori una pistola. Credo che l’America sia più violenta della Calabria e che la Calabria abbia problemi più seri perfino della ‘Ndrangheta».
Quali?
«Ha le stesse storture dell’Italia, ma moltiplicate per tre. Il pubblico è un macchinario lentissimo. A muoverlo spesso sono chiamate persone senza motivazione, che non sanno fare le cose o che hanno le mani legate».
A Uta piace la Calabria?
«La definisce sofferenza e amore. Non le piacciono i cani randagi, la spazzatura, gli incendi, la guida sregolata. Le piace il sole, la cultura, l’umanità della gente e il festival di Sanremo. D’altra parte, avete mai provato ad ascoltare il pop tedesco?»
E la Calabria ha accettato Uta?
«Lei ha il dono di piacere a tutti. Non ci siamo mai sentite discriminate. Sarà anche perché queste cose ci lasciano indifferenti».
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Anche gli studenti attuali sono diversi dalla studentessa che era lei?
«Hanno perso il buio. Vivono immersi nella luce. Sono appena tornata dall’inaugurazione di un planetario in una scuola di Paola. Ho chiesto chi avesse mai visto la Via Lattea e nessuno ha risposto. Per me è un ricordo adolescenziale unico. In compenso l’istituto ha acquistato un telescopio che i ragazzi e le ragazze hanno imparato a usare. Sei qui stressato dalla vita quotidiana, e magari ti viene voglia di puntarlo su Andromeda. Così, giusto per guardare cosa succede in un’altra galassia». [...]
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