VALENTINA ERRANTE e Alessia Marani per il Messaggero
Rischia di rimanere costretto sulla sedie a rotelle. Selavdi Shehaj, detto Simone, 38 anni, l'albanese vittima di un sicario vestito da runner che, domenica mattina, gli ha sparato sulla spiaggia affollata di bagnanti a Torvaianica.
Poi è fuggito in moto con un complice. Lo stesso destino toccato anche a Bardhok Tushaj, allora 24enne, suo connazionale, ferito nella feroce guerra tra bande albanesi per la scalata al mercato della droga della Capitale il proiettile di una calibro 38, lo ha raggiunto in via di Boccea dieci anni fa.
Per quel raid vennero accusati - e poi assolti - altri tre albanesi, considerati legati alle batterie di Ponte Milvio, vicine a Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, ucciso nell'agosto del 2019 a Cinecittà, e ritenute degne di rispetto persino da Massimo Carminati. Da ieri sul tentato omicidio di Torvaianica indaga la direzione distrettuale Antimafia, il fascicolo sarà coordinato dal procuratore aggiunto Ilaria Calò. Le modalità dell'agguato lasciano pochi dubbi sul fatto che sia maturato all'interno della criminalità organizzata.
In dieci anni, la scalata della mafia dell'Est è avanzata e il piombo non ha mai smesso di parlare per suo conto. Il sospetto è che Simone, che si era attestato come il principe della piazza di spaccio sul litorale pometino, possa avere tentato di aumentare la propria zona di azione, azzardando con la sua banda un'invasione di territorio su lidi ancora più a Sud del Lazio e già ben controllati.
Il 38enne era stato arrestato dai carabinieri nell'estate del 2017 insieme con albanesi e italiani. I militari lo avevano sorpreso in auto quando aveva appena consegnato un carico di quasi cinque chili di marijuana ad acquirenti locali. Per quell'arresto era fini prima in carcere e poi ai domiciliari, terminati di scontare pochi mesi fa nel suo domicilio di Ardea.
L'albanese potrebbe essersi rimesso subito in affari e avere progettato piani criminali ambiziosi mentre si godeva il sole allo stabilimento Bora Bora, intestato alla sua compagna italiana, e dove i sicari, l'altra mattina, erano sicuri di trovarlo. Difficile pensare, del resto, che per un debito qualcuno abbia provato ad ammazzarlo (gli hanno sparato alle spalle mentre era chinato in avanti sulla battigia) e correre, così, il rischio di non avere mai più indietro il denaro.
Era un'esecuzione, volevano ucciderlo. Ma hanno fallito, così come ha fatto cilecca anche la pistola che, nel novembre dello scorso anno, era stata puntata contro Leandro Bennato, 41 anni, nipote del boss di Primavalle Walter Domizi, uscito miracolosamente vivo dalla sua auto nel traffico di via di Boccea.
Proprio in quel periodo, secondo i beninformati, Bennato aveva stretto con gli albanesi, prima di finire arrestato nell'inchiesta per spaccio ed estorsioni che vede incriminata la banda Diabolik-Fabietti. Non ha sbagliato, invece, il killer di Gentian Kasa, albanese di 45 anni, ucciso sotto casa al Tufello a gennaio di quest' anno. Così come non ha fallito chi ha ammazzato Gaspar Reci nell'aprile 2017 al Casilino.
Dominano da anni le piazze della droga e con gli albanesi aveva fatto affari anche Diabolik. Ma poi aveva deciso di fregarli. A lui e al suo gruppo non andava giù che «organizzandosi autonomamente e applicando dei ricarichi minimi causassero il calo del prezzo della droga sul mercato capitolino».
Dalle informative della maxi inchiesta Raccordo criminale, che, se fosse stato vivo, avrebbe portato in carcere anche Piscitelli, emerge come Diabolik che aveva allargato il suo raggio di azione, avesse rotto con gli albanesi. E aveva cominciato rubandogli gli uomini, picchiatori professionisti che utilizzava per la riscossione crediti.
fabrizio piscitelli foto mezzelani gmt003
In un'intercettazione è il suo braccio destro, Fabrizio Fabietti che spiega: «Ci sono sti albanesi pezzi di merda cornuti che sono magari muoiono tutti vengono, lo fanno per mezzo punto (500 euro di guadagno al chilo ndr)... la vanno a prendere loro fuori, se la portano loro, capito come fanno». Chissà se, sul litorale, Shehaj non abbia finito per invadere il territorio o rovinare gli affari di qualcun altro.