Morello Pecchioli per la Verità
Il gin nasce olandese alla metà del Seicento, semina disperazione in Inghilterra del Settecento, si redime nell'Ottocento, diventa un liquore planetario nel Novecento. La storia del gin, all'osso, è questa. A voler essere partigiani potremmo vantarci che il primo liquore al gin è nato in Italia mille anni fa. Lo testimonia un manoscritto salernitano del 1055, il Compendium Salernitanum, nel quale i monaci medioevali campani insegnano come ricavare benefiche infusioni da erbe e piante.
Tra le altre una istruisce come estrarre i principi attivi delle bacche di ginepro per infusione con il vino. Diciamo la verità: quello non era gin, ma un vino al ginepro.I meriti della scoperta del gin vanno a Franciscus Sylvius Deleboe, medico olandese, docente di medicina all'università di Leida nella seconda metà del '600.
Fu lui a correggere e ingentilire la pesante acquavite di cereali bevuta nei Paesi Bassi, ricavata dalla macerazione e dalla distillazione di granoturco o d'orzo con il malto. L'illustre scienziato, che perseguiva scopi farmaceutici, aggiunse bacche di ginepro già nella macerazione dei cereali.
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Deleboe, autore di un prezioso trattato sulle febbri, De febribus, 1661, cercava il modo di ottenere un distillato-medicina energetico per lo stomaco e i reni dei suoi facoltosi pazienti gottosi e in grado di combattere le febbri che falcidiavano i soldati olandesi spediti a colonizzare le Indie Orientali. Un concentrato di benessere. Quando lo trovò, lo chiamò Jenever che, in olandese, significa ginepro.Gli inglesi lo conobbero quando accorsero in aiuto dell'Olanda contro la Spagna nella Guerra degli Ottant' anni. Dapprima lo chiamarono dutch courage, coraggio olandese, poi, trasmigrato in Inghilterra, il jenever divenne gin.
La spinta decisiva all'anglicizzazione del liquore la dette l'olandese Guglielmo III d'Orange, diventato re d'Inghilterra nel 1689. Guglielmo, che favorì la produzione del gin a danno del cognac degli odiati francesi. Perfezionato e accomodato al palato inglese con l'aggiunta di altri estratti vegetali, fabbricato in quantità industriali a scapito della qualità, spacciato a prezzi stracciati (Drunk for a penny, dead drunk for two pence, ubriaco con una monetina, fradicio con due), il gin iniziò a ruscellare nei gargarozzi del miserabile popolino inglese che, abbruttito dall'alcol, dipendente dal gin come da una droga, dimenticava il suo infelice stato sprofondando sempre più nell'alienazione.La piaga dell'alcolismo non fu facile da debellare.
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Ma Madame Geneva o Mother Gin - come fu chiamato il distillato nella prima metà del Settecento - doveva essere sconfitta ad ogni costo. Non fu facile. Quando il governo di quei tempi impose una feroce tassa sulla distillazione del gin nelle strade si urlò «No gin, no king» minacciando la monarchia.
Ci vollero decenni di leggi e di battaglie contro la produzione clandestina della mother' s ruin, la rovina delle madri, ma alla fine la piaga fu vinta grazie alle leggi, alle gabelle che alzavano il prezzo del gin e all'irrompere nella vita inglese di una bevanda innocua, il tè, che conquistò la moda e i costumi anglosassoni. Nel frattempo il gin aveva solcato i mari di tutto il mondo chiuso nei barili stivati nelle navi mercantili della potenza inglese.
Perfezionato con l'aggiunta di altri botanical- erbe, radici, cortecce, fiori e sostanze aromatizzanti, era divenuto il liquore che oggi conosciamo.Declinato con acqua tonica, ghiaccio e fettina di limone, si sublimò nel gin tonic, il cocktail più famoso al mondo. Il gin and tonic (gli inglesi pretendono la «e») nasce in India nell'800 come medicina per i soldati e per i coloni di sua maestà colpiti dalla malaria. I medici della compagnia inglese delle Indie Orientali ricorrendo al chinino, efficace per combattere la malattia, ma amarissimo da ingurgitare, spinsero i soldati ad aggiungervi un po' di zucchero e gin.
Da medicina a bevanda rinvigorente e rinfrescante il passo fu breve. Uscito dai sanatori militari e dagli ospedali coloniali, il gin tonic entrò nei salotti aristocratici, nelle ricche case borghesi e negli esclusivi club londinesi. Divenne popolarissimo quando un orologiaio svizzero, Johann Jacob Schweppe, trovò il modo di aggiungere l'anidride carbonica all'acqua (anche lui con il nobile proposito di combattere la malaria), inventando l'acqua tonica. Fu così che nacque una delle bevande più apprezzate.
Per l'attore comico americano William Claude Fields è stato, fino a quando è campato, il miglior buongiorno del mattino: «Possiedo un self-control straordinario. Prima di colazione non bevo mai nulla più forte del gin». Clark Gable, il Rhett Butler di Via col vento, assicurò che era il miglior cocktail che si potesse bere. Winston Churchill, ottimo bevitore e ancor più grande fumatore, lo abbinava ai suoi avana Romeo y Julieta, e non ebbe paura di inimicarsi i medici inglesi affermando: «Il gin and tonic ha salvato più vite inglesi di tutti i medici dell'Impero».
la ricetta del vero dry martini
Esiste il gin tonic perfetto? Esiste la direttiva ufficiale dell'International bartenders association (Iba) che prescrive 40 ml di gin, 60 di acqua tonica, fettina di lime o di limone, e abbondante ghiaccio in modo di ottenere una percentuale di alcol di poco inferiore ai 13 gradi. Sul ghiaccio non tutti sono d'accordo.
Nel film Un anno vissuto pericolosamente il colonnello Henderson si lamenta con il giornalista Guy Hamilton (Mel Gibson) quando gli servono il gin and tonic con il ghiaccio: «Solo gli americani lo bevono così».
L'Iba stabilisce inoltre che il gin and tonic va preparato direttamente nel bicchiere: nel tumbler cilindrico o nel balloon.Ma le varianti sono infinite come il palato dei bevitori e la fantasia dei barman o di noialtri orgogliosi miscelatori da tavernetta che giochiamo con tumbler, shaker, mixing glass, jigger alla ricerca della perfezione. Chi ama una nota profumata orna il bicchiere con qualche foglia di basilico o di lavanda o vi immerge un rametto di basilico.
Chi adora la sfumatura agrumata aggiunge succo e fetta di pompelmo. Chi lo vuole con una nota d'amaro aggiunge due (solo due!) gocce d'angostura. La «perfezione» dipende dai gustibus sui quali non si discute. E dipende dai botanical. Si usa di tutto, oltre al fondamentale ginepro: semi di coriandolo, radice di angelica, fiori di irish, buccia d'arancia, cardamomo, menta selvatica, sambuco, ginestra, miele, zenzero, liquerizia.
Ian Fleming, nel romanzo Licenza di uccidere, rivela qual è il G&T preferito dall'agente 007: «Bond ordinò un doppio gin and tonic e un intero lime verde. Quando arrivò la bevanda, tagliò il lime a metà, lasciò cadere le due metà spremute nel lungo bicchiere, riempì quasi il bicchiere di cubetti di ghiaccio e poi versò l'acqua tonica».Altro straordinario cocktail preparato con il gin è il Martini.
Secondo David Augustus Embury, autore di The fin art of mixing drinks, la bibbia dell'arte di preparare bevande miscelate, la proporzione giusta per un Martini secco è sette parti di gin, una di vèrmut dry. Ma Ernest Hemingway, bevitore trascendentale, pretendeva un Martini dry secco come il deserto del Kalahari esagerando la dose di gin rispetto a quella del vèrmut. Si racconta che versasse un po' di vèrmut nella coppetta da cocktail, lo rigirasse per profumarla e lo rovesciasse nel secchiaio.
Poi riempiva la coppa di gin: 15 parti di gin a una (volatizzata) di vèrmut. Lo chiamò Montgomery, come il generale inglese che teorizzava che per vincere una battaglia il rapporto tra le forze in campo dovesse essere di 15 contro una.Anche sul Martini James Bond dice la sua dettando al barman, in Casinò Royale, il Vesper Martini dedicato alla splendida bondgirl: «Tre parti di gin Gordon, una di vodka, mezza di Kina Lillet, una scorza di limone lunga e sottile in un calice da champagne». E, mi raccomando, «Shaken, not stirred», agitato, non mescolato.
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