Alberto Simoni per “la Stampa”
Stefano Massini è un fiume in piena, trabocca di entusiasmo e felicità per il Tony Awards, l'Oscar del Teatro e di Musical di Broadway, che gli è stato consegnato per Lehman Trilogy domenica sera in un gala al Radio City Hall di New York. Un'opera che diventerà anche una serie tv per Fandango e The Apartment Pictures, misura anche questa del successo dell'autore fiorentino. «Non me l'aspettavo, fino a un mese fa si parlava di una possibile vittoria per la regia con Sam Mendes e forse un attore (Simon Russell Beale, ndr), nulla di più», dice Massini. La cui opera invece porta a casa ben 5 premi su 8 nomination.
Eccola qui, Massini, con la statuetta in mano, un italiano a New York «Incredibile, primo italiano a vincere. Mi avevano fatto capire quanto era difficile per un autore non americano vincere il massimo premio del teatro Usa. E poi Lehman è uno scritto strano, fuori dagli schemi, parla di economia, etica, letteratura, è una ballata. Qualcuno l'altra sera mi ha detto che il mio premio per Lehman ha cambiato le regole del gioco del teatro e apre una pagina nuova».
Ha scritto di capitalismo, della sua ascesa e del suo tracollo e ha vinto nella città che più di tutte al mondo rappresenta quel pensiero, quell'idea. Che effetto le fa?
«Le dico una cosa concreta: quando è finita la serata, siamo usciti dal Radio City Music Hall. C'era una folla incredibile sulla strada e a un certo punto un ragazzo si avvicina a me e a Sam Mendes. Ci dice di essere portoricano e che ci voleva ringraziare perché dopo aver visto Lehman ha deciso che avrebbe fatto di tutto per riuscire a iscriversi alla facoltà di Economia. È una cosa che mi ha fatto pensare. Di solito l'economia non smuove le folle. Lo vedo nella quotidianità, vicino a Firenze dove vivo».
In che senso?
«C'è un'edicola dove la gente compra il giornale prima di andare al lavoro. Lo vuole però alleggerire, e il cestino a fianco alla fermata del bus è pieno dei fascicoli difficile da approcciare. Eppure, dietro questa barriera ci siamo noi, in carne ed ossa, ci sono i nostri soldi. Quando la Bce alza i tassi, come successo la settimana scorsa, tocca il nostro mutuo. Lehman ha contribuito a cercare di far conoscere l'economia».
E noi italiani che popolo siamo? Siamo ancora analfabeti in materia di economia e delle sue regole?
«Non siamo i soli però. Lehman Trilogy è andato in scena a Broadway a poche fermate di metropolitana da Wall Street. I manager del New York Stock Exchange sono stati colpiti dallo spettacolo e hanno chiesto ai tre attori di indossare gli abiti di scena e di suonare la campanella di avvio delle contrattazioni una mattina. Si sono resi conto a Wall Street che portare l'economia sul palcoscenico era un'occasione che faceva bene alla stessa economia perché ha aiutato a comprendere meglio i meccanismi del suo funzionamento. E questo ci rimanda all'essenza stessa del teatro».
Qual è secondo lei?
«Il teatro ha senso quando mette il dito in qualcosa che non ci conosce, ha senso quando sollecita le domande e la curiosità. La mia nuova opera è grande, vasta, si sviluppa per ore e narra la storia della bomba atomica. Si occupa di fisica, parla di uranio impoverito, fissione nucleare. Non è semplice portare la fisica - così come prima l'economia - su un palco: ma tutte le volte che un'opera descrive e analizza qualcosa che non si sa, fa qualcosa di importante e realizza l'essenza del teatro, ovvero quello di essere un veicolo per conoscere la realtà».
La realtà ci dice di un mondo complesso in cui le ricette dell'Occidente sembrano non riuscire più a fornire un approdo sicuro per tutti. L'America è alle prese con l'incubo di una recessione; l'Europa ha la guerra sull'uscio, l'Ucraina invece dentro casa. Il caso Lehman Brothers significò uno schiaffo al modello del dominio della finanza sull'economia reale. Oggi quali pericoli scorge?
«Nel 2008 quando cadde Lehman Brothers tutti erano convinti che le catastrofi potessero nascere solo da una grande crisi di carattere economico. Eravamo assuefatti all'idea della pace, il politicamente corretto inteso come il tentativo di non irritare gli altri avevano allargato i suoi confini e nei consessi internazionali tutti si volevano bene. Strette di mano, baci e abbracci con Putin. Ci sembrava tutto così melenso, sdolcinato. Ora il mondo ha riscoperto l'odio, le minacce. Medvedev vorrebbe annientare tutti gli occidentali. In quest' orgia, in questo tsunami d'odio, fisico concreto, sembra che le crisi economiche come quelle di Lehman siano poca cosa, ma ricordiamoci invece che l'economia e la guerra vanno di pari passo».
Anche le diseguaglianze sono in aumento e non solo fra cittadini delle stesse nazioni
«L'esempio più lampante è la battaglia del grano. I Paesi africani non hanno votato contro la guerra di Putin alle Nazioni Unite preferendo l'astensione. E oggi chiedono una ricompensa, chiedono di non essere tagliati fuori dalla distribuzione del cibo. E Putin apre corridoi umanitari. Sembra tutto così semplice, ma basta osservare più attentamente e scopriamo che alla fine sono solo accordi di carattere economico a muovere le decisioni».
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