1 - IL FIGLIO 30ENNE, L'INDIRIZZO SEGRETO LA NUOVA VITA DEL PENTITO BRUSCA
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Con la donna che era con lui la sera dell' arresto, venticinque anni fa, la storia è finita da tempo, durante la detenzione c'è stato il divorzio. Con il figlio, invece, il rapporto è rimasto. L'ha lasciato che era un bambino di cinque anni, l'ha visto crescere dal carcere, si sono incontrati più volte durante i permessi di cui il pentito ha potuto usufruire. Ora quel bambino è diventato un uomo, e rappresenta l'ultimo legame di Giovanni Brusca con la vita di un tempo. Adesso ne comincia un'altra, piena di incognite, tutta da pianificare e costruire assieme agli angeli custodi del Servizio centrale di protezione, l'ufficio che si occupa dei collaboratori di giustizia.
L'ex mafioso divenuto il simbolo dei killer di Cosa nostra, l'assassino che ha fatto esplodere la bomba di Capaci e ha dato l'ordine di strangolare Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito che lo accusò della strage), ha chiuso i conti con la giustizia ma mantiene il proprio legame con lo Stato che continuerà a vigilare sulla sua sicurezza.
E programmare con lui un futuro ancora incerto. La scarcerazione per «fine pena» era prevista per l'autunno o poco prima, ma gli ultimi calcoli su un altro segmento di liberazione anticipata a cui il detenuto aveva diritto hanno provocato un'accelerazione inattesa. E sono rimasti tutti spiazzati, Brusca e chi deve continuare a occuparsi di lui.
Adesso c'è un periodo di libertà vigilata, con obbligo di firma settimanale, orari controllati e pernottamento fisso.
Bisognerà scegliere un luogo dove vivere che offra sufficienti garanzie, soprattutto di sicurezza. Un'abitazione, ma anche un contesto in cui possa mimetizzarsi, senza destare sospetti e curiosità che possano svelarne la vera identità. E poi si cercherà di trovargli un lavoro, in modo da integrare lo «stipendio» previsto dal programma di protezione. Dettagli tecnici e operativi da definire in fretta, per i tempi anticipati del «fine pena».
Fa tutto parte del contratto che il pentito ha sottoscritto con le istituzioni, il patto che lo Stato ha siglato per ottenere la collaborazione di uno dei killer più fidati della mafia corleonese, ma divenuto uno dei pentiti-simbolo dell' antimafia; forse il più importante e significativo della nuova era, dopo la stagione dei Buscetta, Contorno e Marino Mannoia.
Anche per questo Brusca continua ad essere un obiettivo di Cosa nostra, o di quello che ne resta.
Lui è il primo a saperlo, e il primo ad essere consapevole che dovrà guardarsi dalle vendette; il conto con lo Stato è chiuso, quello con la mafia no. E non lo sarà mai. Lo ha raccontato lui stesso, qualche anno fa, in un'intervista per un documentario franco-tedesco sui corleonesi, ricordando il momento della sua affiliazione davanti a Totò Riina, alla presenza di suo padre Bernardo capomafia di San Giuseppe Jato: «Mio padre mi dice "entra che Riina ti vuole parlare". Entro, Riina mette sul tavolo un coltello e una pistola incrociati, una santina e un ago, e mi dice "questa è un' organizzazione in cui siamo tutti fratelli, un' associazione che ha le sue regole, se ci si separa ci si rimette la vita"».
Quel giorno Giovanni Brusca divenne «uomo d'onore», carica che ha mantenuto fino al giorno delle prime dichiarazioni davanti ai magistrati, nell' estate del 1996. Ma i dubbi su Cosa nostra avevano cominciato ad assalirlo già prima, quando con il suo carico di stragi e di morti ammazzati per ordine di Riina, capì che anche lui poteva fare la stessa fine, morto ammazzato su ordine di Riina. Temeva quello che svelerà un altro pentito, Salvatore Cancemi, il quale disse che il «capo dei capi» aveva commissionato l'omicidio di Brusca e di Salvuccio Madonia.
Una volta finito in carcere, i tempi per saltare il fosso e tradire Cosa nostra sono stati rapidi. Consumato e smascherato in pochi giorni un falso pentimento concordato in precedenza per delegittimare l'antimafia, nel giro di qualche settimana Brusca diede agli uomini della Squadra mobile palermitana guidati da Luigi Savina (futuro vicecapo della polizia) le indicazioni utili ad arrestare il boss Carlo Greco; e subito dopo Pietro Aglieri, boss in ascesa e salito in cima alla lista dei ricercati. Erano le garanzie di affidabilità richieste dagli investigatori, che convinsero i magistrati della sua attendibilità.
È in quel momento che si salda il patto tra il killer e lo Stato: indicazioni per ottenere arresti e dichiarazioni per infliggere condanne (che sono arrivate a centinaia, come le vittime assassinate) in cambio di protezione e sconti di pena. Il suggello è arrivato con il verdetto che ha tramutato l'ergastolo in trent' anni, una pena a termine giunta a compimento.
Ma il tribunale della mafia sconti non ne fa, e non c'è investigatore di ieri e di oggi che non sia certo del rischio che accompagnerà Brusca fino alla fine dei suoi giorni: incontrare qualcuno, fosse anche l'ultimo canazzo di bancata (espressione siciliana per indicare persone di infimo livello) con qualche aspirazione da boss, che voglia fargli pagare il suo tradimento.
2 - BRUSCA, IDENTITÀ PULITA E STIPENDIO DELLO STATO LA VITA DI UN BOSS LIBERO
Valentina Errante per “il Messaggero”
Dopo 25 anni di carcere il boss Giovanni Brusca da San Giuseppe Jato, può ricominciare. Oltre alla libertà, ha ottenuto una casa in una località segreta, una nuova identità, pulita, e quella che tecnicamente si chiama indennità di mantenimento. Ossia uno stipendio da parte dello Stato. I termini dell' accordo che Brusca ha firmato lunedì, prima di lasciare la cella di Rebibbia, sono noti solo al Servizio centrale di protezione del ministero dell' Interno.
Documenti riservati, anzi classificati, perché Brusca non è un collaboratore di giustizia da poco. L' impegno riguarda però anche il boss, che dovrà rispettare regole precise. Tra l' altro, per quattro anni, sarà sottoposto al regime di libertà vigilata. Probabilmente l' obbligo di dimora, nel luogo segreto dove adesso risiede.
Ovviamente non dovrà tornare a delinquere e non potrà violare alcune regole previste dal programma di protezione al quale ha aderito. Ieri, mentre infuriavano le polemiche sulla sua scarcerazione, il boss che ha azionato il telecomando di Capaci, era ancora «frastornato», ha contattato il suo avvocato Antonella Cassandro, per ringraziarla del lavoro svolto. Poi e sparito. Fino a tre giorni fa neppure lui sapeva della scarcerazione anticipata. Anche il legale, da oggi, avrà bisogno di un' autorizzazione per incontrarlo. Non dovrebbe essere così per i familiari stretti.
L'INDENNITÀ
Dal 2000, Brusca, in carcere percepiva un piccolo stipendio per provvedere alla famiglia. Adesso che è libero ci sono accordi precisi a regolare la sua nuova vita. Anche un mantenimento garantito dallo Stato. In genere l' indennità per i collaboratori di giustizia varia tra i mille e i mille e 500 euro la mese. Ai quali vanno aggiunti altri 500 euro per ogni familiare a carico.
Ma Giovanni Brusca è da solo, con la moglie, sposata nel 2002, quando era già in carcere, ha divorziato alcuni anni fa. E il figlio, nato dall' unione della coppia prima dell' arresto, è oramai adulto. Ma lo Stato, paga al boss anche l' affitto, le spese mediche e, nel programma di protezione, possono essere inclusi altri benefit. Strumenti che dovrebbero servire al collaboratore di giustizia, che oramai ha 63 anni, a reinserirsi nella società e a trovare un lavoro. La rinuncia al programma di protezione e quindi a vantaggi economici, se mai avverrà, prevederà comunque una sorta di liquidazione.
LE POLEMICHE
Una collaborazione con la giustizia ancora avvolta da molte ombre quella di Brusca. Continua ad aleggiare il sospetto che abbia coperto alcuni favoreggiatori e che non abbia mai rivelato dove fosse il suo tesoro. La liberazione del boss sanguinario, che agli inquirenti non ha saputo neppure dire quanti omicidi avesse commesso, suscita reazioni contrastanti.
L'avvocato Cassandro ribadisce: «Ha scontato la pena interamente in carcere ed espiato la sua colpa», ma sulla liberazione si dividono anche i parenti delle vittime. Maria Falcone (tra l' altro citata dal segretario del Pd Enrico Letta) ammette che la scarcerazione «è stata un pugno nello stomaco», ma ricorda che la legge applicata è stata voluta anche da suo fratello Giovanni e «ha consentito tanti arresti», sulla stessa linea la mamma e il fratello del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell' acido dal boss: «Umanamente non si potrà mai perdonare. Ma abbiamo fiducia nella magistratura che ci è stata sempre vicina. Brusca ha ucciso Giuseppe, ma espiato la pena nel rispetto della legge», dicono.
toto riina con carlo alberto dalla chiesa
Molto dura la vedova del capo scorta di Falcone, Tina Montinaro che si è detta delusa dallo Stato. E mentre la magistratura difende la legge sui pentiti, il leader della Lega Matteo Salvini suggerisce di cambiarla, mentre la presidente dei senatori di Fi Annamaria Bernini e Giorgia Meloni, leader di Fdi, parlano di «schiaffo alle vittime».
TOTO RIINA barillari toto' riina