GIUSTIZIA A FUROR DI POPOLO – LA CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA HA MANDATO A PROCESSO LO STALKER DELLA PORTAVOCE DI “POTERE AL POPOLO”, MARTA COLLOT – LO SCORSO MARZO IL TRIBUNALE AVEVA PROSCIOLTO L'UOMO (CHE È STATO POI CONDANNATO IN UN ALTRO PROCESSO) – LEI ACCUSA: “NON SONO STATA CREDUTA SUBITO. LA GIUSTIZIA È ARRIVATA SOLO DOPO UNA MOBILITAZIONE COLLETTIVA” – E LA BUTTA IN POLITICA: “È CONSIDERATO PIÙ VIOLENTO UN LAVORATORE CHE BLOCCA LA STRADA PER DIFENDERE I PROPRI DIRITTI RISPETTO A UN UOMO CHE PERSEGUITA UNA DONNA”

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Francesco Rosano per il “Corriere della Sera”

 

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L'8 marzo scorso, mentre protestava davanti al Tribunale di Bologna contro la sentenza che aveva prosciolto il suo stalker, la portavoce di Potere al popolo Marta Collot restò imperturbabile quando confessò anche di aver subito nel 2018 - da un altro uomo poi condannato a 8 anni - una violenza sessuale in un parco di Bologna.

 

È imperturbabile anche oggi che, quasi 8 mesi dopo, la Corte d'appello di Bologna ha rivisto la scelta del gup e deciso di mandare a processo il suo stalker, già condannato a un anno e 8 mesi per una sua seconda denuncia.

 

Collot, è sollevata?

«Non mi va mai di dare giudizi personali o umorali, in questa storia vorrei sottolineare il fatto che c'è stata una vittoria grazie a una mobilitazione. Non è stato automatico prendere in considerazione la serietà delle denunce fatte, non dovrebbe essere così. Non ci dovrebbe essere bisogno di mobilitarsi e rendere pubblico un fatto perché sia fatta un minimo di giustizia.

 

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Per me resta però un segnale positivo aver dimostrato che la lotta paga. Sembra uno slogan ma non è così, soprattutto per i diritti delle donne. La giustizia è arrivata dopo una mobilitazione e una denuncia collettiva, la stessa cosa accaduta in Lazio ed Emilia-Romagna, che hanno deciso di rendere gratuita la pillola abortiva guarda caso dopo le contestazioni a Laura Boldrini delle compagne di Osa e Potere al popolo...».

 

Lei ha trasformato le sue vicende personali in battaglia politica. Dopo quello che ha passato pensa che in Italia ci sia un problema nell'ascoltare le denunce di chi subisce stalking o violenza?

«Assolutamente sì. Non c'entra la mia esperienza, è quella di tutte le donne a dimostrare che è così, soprattutto se sole e più vulnerabili. Lo confermano i tanti casi di femminicidio, come quello di Alessandra Matteuzzi a Bologna. Purtroppo in questo Paese c'è solerzia nella giustizia solo quando si tratta di diritti politico-sindacali.

 

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Penso al castello probatorio costruito dalla Procura di Piacenza contro i sindacati Sì Cobas e Usb, o al fatto che dopo l'omicidio di Abd Elsalam (il delegato Usb travolto da un tir nel 2016 durante un presidio di fronte ai magazzini Gls di Piacenza, ndr ) a essere condannati siamo stati noi che protestavamo invece di chi l'ha ucciso. Viene considerato più violento un lavoratore che blocca la strada per difendere i propri diritti rispetto a un uomo che molesta o perseguita una donna».

 

Ha citato il femminicidio Matteuzzi. Negli ultimi mesi a Bologna i casi di cronaca dove le vittime erano donne sono stati parecchi. Il capoluogo emiliano ha un problema?

«Si tratta di una situazione generale, il vero problema è che tutti dicono alle donne che bisogna denunciare, ma quando una donna denuncia spesso non ha nessun tipo di tutela. Il mio non è un invito a non denunciare, ma è chiaro che la denuncia a volte rischia di essere addirittura pericolosa se una persona, anche economicamente, non è in grado di difendersi cambiando abitazione perché magari vive con un uomo violento».

 

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Crede che una premier donna come Giorgia Meloni possa contribuire a migliorare le tutele per chi è vittima di stalking o violenze?

«Non basta essere donne, o migranti, per rispettare i diritti delle donne o di chi non ha cittadinanza. Il nuovo premier britannico è di origini indiane, ma è tra gli uomini più ricchi del Paese, non difenderà deboli e migranti. Lo stesso vale per donne come Meloni, Ursula von der Leyen o Margaret Thatcher, una delle prime donne ad andare al potere per poi distruggere un sistema di welfare e diventare un esempio in negativo».

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