Estratto dell’articolo di Michele Farina per il "Corriere della Sera"
Non era abbastanza rubarle 43 anni di vita, condannarla ingiustamente per l’omicidio di una bibliotecaria, coprire le responsabilità del presunto assassino in divisa e permettergli di farla franca.
Non era ancora abbastanza: quando finalmente il 14 giugno scorso un tribunale ha riconosciuto l’incredibile errore disponendo la sua scarcerazione, Sandra Hemme è rimasta chiusa nel carcere di Chillicothe.
Un giudice d’Appello e la Corte suprema del Missouri avevano approvato il rilascio, con poche scuse. Ma il procuratore generale dello Stato, carica elettiva che il repubblicano Andrew Bailey dovrà riguadagnarsi alle primarie di agosto, ha stabilito che la sessantaquattrenne Hemme non aveva diritto alla libertà.
Ha tirato in ballo due condanne sopraggiunte nel corso della detenzione, di fatto già ampiamente scontate. Ha dichiarato che la detenuta rappresenta un pericolo per sé e per gli altri. Illegittimamente, ha chiamato il carcere ottenendo che per Sandra le porte del penitenziario restassero sbarrate.
Fino a che, il 18 luglio, il giudice Ryan Horsman ha dato un ultimatum al più alto e miserevole rappresentante della giustizia dello Stato del Missouri: o la detenuta viene liberata, o sarà il procuratore a finire davanti a una corte.
E così venerdì, derubata di un altro mesetto, Sandra Hemme è uscita all’aria aperta: con una maglietta bianca, in un parchetto vicino alla prigione, ha abbracciato la sorella e la nipote.
Con un sorriso disarmante, l’aria serena, senza amarezza apparente. Non ha parlato con la stampa, non ha recriminato, non ha urlato di gioia. È uscita ed è andata a trovare il suo papà, che da qualche giorno è all’hospice per una malattia terminale.
Anche per chi ha passato 43 anni dietro le sbarre, un giorno o un’ora possono essere cruciali, caro signor procuratore Bailey.
L’aberrante tempo supplementare a cui è stata sottoposta Sandra Hemme non può far dimenticare l’inizio di questa odissea. Il primo di novembre del 1980, nella sua casa di Saint Joseph nel Missouri, viene trovata morta in un lago di sangue Patricia Jeschke, professione bibliotecaria. Nell’aprile dell’anno successivo la ventenne Hemme viene condannata al carcere a vita. Niente la lega alla vicenda della bibliotecaria, se non una traballante confessione di colpevolezza: Sandra si trovava in un ospedale psichiatrico, sotto l’effetto di potenti farmaci, quando ha ammesso di aver ucciso Patricia.
«Non era pienamente cosciente», testimoniò un detective all’epoca. «Alle domande rispondeva in modo assente».
[…] Il giorno dopo l’omicidio, l’agente Michael Holman aveva usato la carta di credito della vittima. Gli orecchini d’oro di Patricia furono trovati a casa di Holman. E la sua auto fu notata nei pressi dell’abitazione della donna nelle ore in cui veniva uccisa.
Indizi insabbiati. La macchina dell’ingiustizia investì una giovane che soffriva di disturbi psichiatrici dall’età di 12 anni.
Sotto l’effetto degli psicofarmaci, Sandra Hemme aveva risposto «sì» alle domande che le avevano posto sull’omicidio della povera bibliotecaria. Fu condannata, e la chiave della cella buttata. Holman è morto nel suo letto nel 2015, e adesso il dipartimento di polizia di Saint Joseph non sa bene cosa dire. In America, mai nessuna donna ha passato ingiustamente in carcere tanti anni quanti Sandra Hemme. Lei non perde tempo a recriminare. Certo ci sarà un risarcimento da chiedere. Le hanno rubato la vita, ma ha una vita davanti: ogni istante è cruciale. Per lei, per il padre morente, per chi incontrerà domani.