Giuseppe Scaraffia per “il Venerdì di Repubblica”
«È innegabilmente il sedere più famoso del mondo e anche il più desiderato. Un sedere talmente celebre e agognato da poter essere venerato […]. È un sedere fotogenico. Lo schermo riproduce le sue linee ferme e dolci, i sussulti lascivi e gli scatti più selvaggi […]. Una sintesi di voluttà animale, giovane e vivace come il jazz, trepidante, ridente, brutale e candida, soprattutto gioiosa di una gioia infantile sana ed esuberante».
A scriverlo era uno dei tanti spettatori in smoking al Théâtre des Champs-Elysées nell'ottobre 1925. Lei non aveva ancora vent'anni, lui, Georges Simenon, pochi di più, ma era già noto per la sua inesauribile capacità di scrivere.
Quanto a lei, la prima nera a entrare, il prossimo 30 novembre, nel Pantheon tra Victor Hugo e Marie Curie, stava per iniziare una lunga e gloriosa carriera. Nessuno sapeva che il ritmo frenetico dei suoi balli nasceva dal bisogno di riscaldarsi nei gelidi inferni di un'infanzia poverissima negli Stati Uniti.
La platea che l'applaudiva entusiasticamente era stata preparata a quell'evento dalle avanguardie affascinate dall'arte primitiva africana. Inoltre c'era il fascino dell'esotismo: i musicisti della Revue nègre erano i primi ad apparire a Parigi dopo i soldati di colore della Prima guerra mondiale.
Con l'evidente gioia infantile, la frenesia della danza e le sue inverosimili smorfie, la ballerina disarmava la gelosia delle spettatrici. La sua nudità era innocente senza smettere di essere sensuale.
Tutti cadevano sotto il fascino di quella ragazza, da Picasso - «la nuova Nefertiti» - a Pirandello fino a Marinetti che aveva definito le sue lunghe gambe «afrodisiaci pennelli di color cioccolato al latte ». Cocteau aveva inventato per lei la celebre cintura di banane. Morand si era ispirato a lei per Magie noire.
Con una rapidità fulminante era diventata una stella, imitata da tutte le parigine che correvano a laccarsi le unghie d'oro e i corti capelli come lei. Non a caso Anna de Noailles l'aveva soprannominata «la pantera dagli artigli dorati» e Colette salutava in lei «la più bella delle pantere e la più seducente delle donne».
A lei Gaia de Beaumont ha dedicato una smagliante biografia, Scandalosamente felice (Marsilio), meravigliosamente contagiata dal ritmo travolgente della musica di quegli anni: «Come folgorata, Joséphine muove gambe e fianchi in uno sfrenato charleston per poi spiccare un salto al limite dell'esagerazione e atterrare in una spaccata».
La sua esuberanza rendeva la sua vita intima sorprendentemente affollata. Serenamente bisessuale, non faceva nulla per nasconderlo. Il suo accompagnatore, il sedicente conte Pepito Abatino, in realtà un ex-scalpellino, doveva tenere a bada la gelosia e fingere di non vedere. Quella con Simenon era stata un'intensa passione.
Lui, per salvare le apparenze, si era autonominato segretario della diva. Il primo numero di una sua trovata, il Joséphine Baker's Magazine, interamente dedicato a lei, era pronto ma non sarebbe mai uscito. Sim, come allora si firmava, non sopportava di non essere celebre quanto l'amata e presto si sarebbe allontanato.
«Essere il marito o l'amante di una donna famosa e non essere nessuno non sarebbe la peggiore tortura per l'orgoglio di un uomo?». Non era stato l'unico grande a restarne affascinato. Appena arrivato a Parigi, un grande architetto, Adolf Loos era stato sedotto da Joséphine, che ammirava le sue straordinarie capacità di ballare il charleston.
Purtroppo la splendida villa a righe orizzontali bianche e nere progettata da Loos, con al centro la grande piscina perfetta per incastonare la padrona di casa nuda, non sarebbe mai stata costruita. Nel 1929, durante una traversata oceanica, aveva sedotto Le Corbusier.
A un ballo in maschera si erano travestiti lei da bianca e lui da nero e Joséphine aveva esultato: «Che peccato che lei sia un architetto! Sarebbe stato un ottimo partner». Lui la trovava «straordinariamente modesta e naturaleha un cuore tenero come quello di un bambino. Nemmeno un pizzico di vanità. Nulla. La naturalezza più miracolosa che si possa immaginare». La disegnava nuda o seminuda nelle sue tipiche pose di ballo. «Joséphine non posa per i ritratti, o la fa molto poco».
Intanto lo sommergeva di domande e si confidava: «Non voglio che si prendano in giro i neri. Sono dei grandi artisti. Voglio far vedere ai bianchi che i neri sono uomini come gli altri, che la loro musica è bella».
«La Perla Nera mi ha fatto venire i capelli bianchi», si lamentava l'impresario. A tratti Joséphine avrebbe voluto cambiare stile: «La danza selvaggia è finita. Avevo sedici anni quando ballavo il charleston quasi nuda. Adesso sono una donna. Si cresce e si cambia continuamente.
Se non si ha niente di nuovo da dire o da fare, si scompare». Nel 1930 aveva intonato per la prima volta in pubblico J' ai deux amours ed era stato subito un trionfo. Ma la Venere Nera non era mai stanca di ballare, nemmeno quando, dopo avere eseguito il suo numero, andava nel suo club Chez Joséphine Baker, frequentato da artisti come Cocteau e Desnos.
josephine baker tra kitsch e camp
Tra un numero e l'altro dava il biberon alla sua capretta. Con i primi guadagni si era comprata un porcellino, un pappagallo, un serpente, due conigli, due scimmie, ma il preferito restava l'inseparabile Chiquita, un ghepardo dotato di un magnifico collare di diamanti.
Aveva recitato in alcuni film - dalla Sirena dei tropici a Principessa Tam Tam - ma la nudità per lei restava un costume. Colette, forse sua amante come anche Frida Kalho, l'aveva ammirata, nel 1936, alle Folies Bergère: «Nuda tranne tre fiori d'oro, incalzata da quattro assalitori, assume un'aria seria sonnambulesca e un'assenza di sorriso che nobilitano un audace numero di music-hall. Grandi occhi fissi, armati di dure ciglia blu, zigomi porpora, zucchero abbagliante e bagnato della dentatura tra le labbra di un viola cupo - la testa si rifiuta a ogni tipo di linguaggio, non risponde nulla alla quadruplice stretta sotto cui il corpo docile sembra sciogliersi Parigi andrà a vedere, sul palcoscenico delle Folies, Joséphine Baker nuda insegnare il pudore alle ballerine nude».
Durante la guerra si era impegnata nella resistenza ai nazisti, trasportando messaggi segreti mimetizzati tra gli spartiti. Da sempre schierata contro il razzismo, aveva partecipato nel 1963 alla marcia della pace di Martin Luther King, dove era stata l'unica donna a parlare.
Coperta di decorazioni, era entrata nella massoneria femminile. Intanto era arrivata al quinto matrimonio con Jo Bouillon. Con lui aveva creato, nel suo castello in Dordogna, la sua "tribù arcobaleno", adottando dodici bambini di tante nazioni diverse. Proprio lei, malgrado tutta la sua spregiudicatezza, ne aveva allontanato uno dai fratelli, temendo che la sua omosessualità li contagiasse.
Quando si era trovata senza soldi si era rifugiata nel principato di Monaco, sotto la protezione della principessa Grace, dove aveva passato i suoi ultimi anni. Non era possibile dimenticarla; persino un instancabile donnaiolo come Simenon doveva ammetterlo. Si sarebbero «rivisti solo trent'anni dopo, a New York, sempre altrettanto innamorati l'uno dell'altra».
Neanche Le Corbusier avrebbe mai scordato il loro incontro: «Joséphine, che magnifica artista. Come erano belle le sue canzoni nere Quanta drammatica sensibilità nel suo modo di cantare e di ballare. Non l'hanno mai utilizzata come meritava Malgrado le trappole della vita, non ha mai smesso di essere buona e generosa».
josephine baker JOSEPHINE BAKER CON LA DIVISA MILITARE FRANCESE JOSEPHINE BAKER JOSEPHINE BAKER LOCANDINA DI UNO SPETTACOLO JOSEPHINE BAKER JOSEPHINE BAKER A VENEZIA JOSEPHINE BAKER JOSEPHINE BAKER CON IL GHEPARDO ADDOMESTICATO josephine baker josephine baker Josephine Baker JOSEPHINE BAKER ZIEGFELD FOLLIES josephine baker POSTER ANNI VENTI DEL CHARLESTON CON JOSEPHINE BAKER