1 - SOCIAL MEDIA, SE L’IMPARZIALITÀ VA IN CRISI
Viviana Mazza per il “Corriere della Sera”
Se la copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese è sempre oggetto di polemiche, a moltiplicarle contribuisce la tendenza dei giornalisti ad esprimere la propria opinione sui social media. Così nei giorni scorsi due importanti network americani si sono trovati a dover difendere la propria immagine.
gaza l'attacco israeliano alla striscia 9
La Cnn ha riassegnato alla sede di Mosca una reporter di guerra, Diana Magnay. La ragione: un tweet della giornalista. Mentre osservava i raid su Gaza dalla città di Sderot, spesso colpita dai razzi provenienti dalla Striscia, ha scritto su Twitter: «Gli israeliani sulla collina su Sderot esultano mentre le bombe piombano su Gaza, e minacciano di distruggere la nostra auto se dico una parola sbagliata. Feccia». La tv ha deciso di tutelare la propria imparzialità e ha trasferito Magnay.
Un’altra tv americana, la Nbc , invece, si è trovava sotto accusa dopo aver fatto rientrare da Gaza il giornalista egiziano-americano Ayman Mohyeldin, diventato una star durante la guerra a Gaza nel 2009 (al tempo lavorava per Al Jazeera , ma anche Gideon Levy su Haaretz lo definì un eroe). Elogiato da più parti per il modo bilanciato di seguire la crisi, è stato invece accusato dai media conservatori di favorire il lato palestinese.
Nei giorni scorsi dopo aver assistito all’uccisione di 4 bambini palestinesi con cui aveva giocato a calcio poco prima sulla spiaggia, ha scritto su Facebook: «Il dipartimento di Stato ha appena detto che Hamas è responsabile per il raid israeliano e l’uccisione dei bambini perché Hamas non accetta la tregua. Discutetene tra di voi».
Improvvisamente è stato sostituito da un altro noto giornalista della Nbc , Richard Engel, senza convincenti spiegazioni, suscitando le critiche di giornalisti dentro e fuori il network. Ma alla fine, la Nbc , accusata di censura, ha ceduto alle pressioni: Mohyeldin ha annunciato su Twitter il suo ritorno a Gaza: «Orgoglioso dell’impegno di Nbc a seguire il lato palestinese della storia».
Le polemiche hanno colpito anche gli opinionisti, accusati di essere andati «troppo oltre». Jon Stewart che nel suo programma tv «Daily Show» usa la satira per discutere «seriamente» di attualità, è stato definito «un ebreo che odia se stesso» per le critiche ai raid israeliani e agli inviti ai palestinesi a lasciare le proprie case: «E dove dovrebbero andare?».
Il comico Bill Maher è tacciato di razzismo e sessismo per aver twittato: «Avere a che fare con Hamas è come avere a che fare con una donna pazza che cerca di ucciderti: puoi solo stringerle i polsi prima di prenderla a schiaffi». Nel loro caso, prendere parte è più ovvio. Ma i social media trasformano tutti in opinionisti.
Il comico Bill Maher e Arianna Huffington dellomonimo blog
2 - PARIGI VIETA I CORTEI E LE PIAZZE SI INFIAMMANO: SCONTRI E VIOLENZE
Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera”
Dopo l’assalto di domenica a due sinagoghe, il prefetto di Parigi aveva vietato nella capitale ogni manifestazione in sostegno di Gaza o di Israele, evocando «gravi rischi di ordine pubblico». Dal Ciad, dove era in visita ufficiale, anche il presidente François Hollande ieri ha chiesto ai parigini di rinunciare ai cortei. Risultato: migliaia di persone in piazza nonostante il divieto, lanci di pietre e lacrimogeni, due feriti tra i manifestanti, 13 tra i poliziotti, 41 arresti.
Pneumatici e immondizia incendiati, pezzi di asfalto divelti, bandiere israeliane date alle fiamme. Se la preoccupazione era l’ordine pubblico, raramente è stato così violato come ieri nei quartieri di Barbès e Château-Rouge, nella Parigi multietnica, araba e africana. Altrove, per esempio a Lione e Marsiglia, le manifestazioni erano autorizzate e non ci sono stati scontri.
«Non lasceremo che il conflitto israelo-palestinese venga importato in Francia», avevano ripetuto sia il premier Manuel Valls sia Hollande, preoccupati che la piazza venisse strumentalizzata dagli estremisti islamici. La sensazione è che Valls abbia tentato di ripetere l’operazione riuscita a gennaio con Dieudonné, ossia la messa al bando pura e semplice: allora del comico antisemita, adesso dei cortei pro-palestinesi che rischiano di trasformarsi in esplosioni di odio contro gli ebrei.
Ma la proibizione di manifestare, oltretutto in una città da sempre attraversata dai cortei, non ha funzionato. Anzi, ha fatto crescere la tensione. Restano la violenza (non solo) degli slogan — «Israele assassino, Hollande complice» — e l’imbarazzo su come gestire il nuovo corteo pro-Gaza, mercoledì sera a Parigi