Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
Passi per i cinesi: che abbiano 65 milioni di persone occupate nel turismo, indotto compreso, è nell’ordine delle cose. Sono tantissimi, abbondano di luoghi e capolavori da vedere e hanno una classe media sempre più ricca. Ma perché, a dispetto delle vanterie sul Bel Paese, ricaviamo dall’industria turistica meno della Germania o della Gran Bretagna sia in termini di occupati sia di soldi? E perché la politica, davanti a un tema così centrale, sembra distratta?
Le ultime tabelle di Wttc sono impietose. E dicono che l’anno scorso, rispetto al 2014, siamo scesi di un altro gradino. Eravamo settimi al mondo per contributo del turismo puro al Pil: siamo all’ottavo.
Irraggiungibili gli Stati Uniti (488 miliardi) e la Cina (224), fatichiamo con 76,3 dietro Germania (130), Giappone (106), Regno Unito (103), Francia (89) e Messico (80). Sul comparto allargato all’indotto, ci lasciamo dietro il Messico ma ci supera la Spagna. E ottavi restiamo.
Certo, rispetto al 1970 quando per numero di visitatori eravamo i primi, è cambiato il mondo. Nel 2000, spiega uno studio di Knoema.com , incassavamo da viaggi e turismo 28 miliardi e mezzo di dollari (moneta di oggi) contro i 25 della Germania, i 17 della Cina o i 3,2 di Macao. Nel 2013 noi stavamo a 46, la Germania a 55, la Cina a 56 e Macao a 52. Nonostante fossimo ancora quinti per numero di arrivi. Nettamente davanti (oltre che ai turchi) agli amici tedeschi.
Vantarsi di avere più siti Unesco di qualunque altro sulla terra (51 più due del Vaticano più alcuni siti immateriali come il teatro dei Pupi o lo Zibibbo di Pantelleria) è a questo punto non solo inutile perché sventoliamo un record ereditato, immeritatamente, dai nostri nonni, ma autolesionistico.
Lo meritiamo questo patrimonio immenso di paesaggi, musei, chiese, città d’arte? Diceva nel 2010 un dossier Pwc che se noi ricaviamo dai nostri siti Unesco 100, Spagna e Brasile ricavano 130, Regno Unito, Germania e Francia da 180 a 190 e la Cina 270. Oggi va meglio? Mah...
Colpisce in particolare l’apatia che pare aver accolto gli allarmi lanciati giorni fa a Cernobbio dal rapporto Confturismo e Ciset. L’uso del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Che gli arrivi di stranieri dal 2001 al 2015 siano saliti del 48% è davvero positivo se nello stesso tempo i turisti son cresciuti nel mondo (nonostante il terrorismo dalle Torri Gemelle a Parigi) di circa il 75% arrivando a un miliardo e 187 milioni? O non c’è da chiederci come mai abbiamo intercettato solo in parte questo boom?
Di più: non è piuttosto preoccupante la sforbiciata che gli stranieri hanno dato alle vacanze da noi? «La permanenza media è passata da 4,1 giorni del 2001 a 3,6 giorni del 2015», dice il dossier citato. La domanda sempre «più orientata al mordi e fuggi» ha ridotto la spesa pro capite di ogni visitatore, in 15 anni, da 1.035 a 676 euro. Un crollo del 35%.
Tanto da far dire a Confturismo che senza questa sforbiciata avremmo avuto 195 milioni di presenze e 38 miliardi in più. Due miliardi e mezzo l’anno. Buttati senza che alcuno si chiedesse seriamente: c’entrerà qualcosa, ad esempio, il fatto che l’ultimo rapporto biennale «Country Brand Index 2014-15» ci abbia visti scivolare nella classifica qualità-prezzo dal 28º al 57º posto?
Confimpresa, in vista di un convegno a Roma, ha fatto fare a Nielsen una ricerca su «Il nostro Paese visto con gli occhi degli altri»: americani, inglesi, francesi, tedeschi, cinesi, russi e giapponesi. Tra la miriade di dati (come la quota di chi si organizza sul web, quasi il 65%, o le spese dei cinesi: 326 euro procapite al giorno, viaggio escluso) emergono dettagli interessanti.
Abbastanza soddisfatti (tranne per il caro-benzina) di autostrade e treni (eccezione: i regionali), quattro stranieri su dieci, per quanto bendisposti, si dicono «per nulla o poco soddisfatti» dei nostri hotel medi, a due stelle. I più scontenti (pur amando l’Italia per paesaggi e musei) sono i giapponesi: uno su tre ha da ridire sui treni, i trasporti urbani, le autostrade...
Spiccano, nel diluvio di numeri di questi giorni, alcuni dati. Dice Wttc che nel 2015 viaggi, turismo e ciò che gira intorno hanno contribuito con 7200 miliardi di dollari (il 9,8%) al Pil mondiale, che il settore in crescita da anni (alla faccia della crisi) è destinato a crescere ancora del 4% l’anno fino al 2016, che i posti di lavoro nel mondo sono 284 milioni: uno su 11.
Ed è qui che da noi non tornano i conti. Tanto più che le difficoltà geopolitiche di altri concorrenti dovrebbero sulla carta favorire noi. Stando al dossier Wttc ci sono oggi in Italia 1.119.000 occupati nel turismo diretto (dieci volte più che nella chimica) e compreso l’indotto (per capirci: compresi i laboratori che fanno i gilè per i camerieri o i mobilifici dei tavoli da trattoria...) 2.609.000. A dispetto dei sindacati, che non ne parlano quasi mai, uno ogni dieci occupati. Eppure sono pochi, rispetto ad altri Paesi meno «turistici» di noi.
Può darsi che altrove contino in maniera diversa gli stagionali. Ma vi pare possibile che la Gran Bretagna abbia 672 mila occupati più di noi nel turismo diretto? O che la Germania, per quanto sia ricca non solo di industrie ma di bellezze artistiche e paesaggistiche (dai musei alla valle del Reno) abbia tre milioni e 10 mila addetti al turismo diretto cioè quasi il triplo di noi? Non ci sarà qualcosa di sbagliato nella gestione dell’enorme pepita d’oro che potrebbe essere il nostro turismo?
Vale più ancora per il nostro Mezzogiorno. Che ha 18 «patrimoni dell’umanità» e cioè più di tutta l’Inghilterra ma nel 2014 ha incassato 3,238 miliardi di dollari contro i 45,5 del Regno Unito. E nel 2015, dice il dossier Ciset e Confturismo, ha accolto in totale il 12,2% dei turisti stranieri. Poco più della metà del solo Veneto (20,5%) che con Lombardia, Toscana, Lazio e Trentino Alto Adige copre il 71,5% del totale.
Ed è lì che vedi ancora una volta i ritardi con cui il turismo è stato trattato da troppi governi. Anche nella tabella Wttc degli investimenti nel 2015 andiamo indietro: dal 15º al 16º posto.
Dicono tutto, del resto, le difficoltà incontrate da Evelina Christillin e Fabio Lazzerini nel prendere in mano e rilanciare, questo era l’obiettivo, l’Enit. Sono passati mesi e mesi da quando, tra diffide sindacali e cause giudiziarie, si sono insediati. E sono ancora lì, alle prese con liti, trattative, bracci di ferro, ricorsi al Tar, carte bollate, da far saltare i nervi non solo a Gonzalo Higuain ma a un santo.
E neppure uno dei dipendenti del carrozzone si è ancora spostato, come previsto, in altri uffici statali. Colpa dei nuovi vertici che forse non sono bravi come parevano? Per carità, può darsi. Ma forse perfino Napoleone, in quel contesto, avrebbe poco tempo e pochi mezzi per concentrarsi solo sul turismo. E certo il governo, distratto da altri impicci, non dà l’impressione di essere deciso a dare un taglio al tormentone...