Alessandro Fulloni per il “Corriere della Sera”
Un ricordo «brutto, terribile» - quello di una violenza subita a 14 anni da parte di sei coetanei - che gli è tornato in mente «adesso che sto affrontando la vecchiaia. E viene il momento di tracciare il bilancio della vita». Edoardo Raspelli, 69 anni, non è solo un critico gastronomico assai noto per le trasmissioni che in tv conduce con verve e simpatia ma ha anche un passato - «durato almeno dieci anni» - di gran cronista di «nera» a Milano, negli anni Settanta.
Il primo «pezzo», poco più che sbarbatello, per il «Corriere d' Informazione» lo ricorda come fosse ieri: «era il 24 luglio 1971 e fu per «il delitto della Cattolica», il caso ancora irrisolto dell' uccisione di Simonetta Ferrero, una studentessa ventiseienne ammazzata con trentatré coltellate nel bagno dell' università». Poi un' altra data - «il 17 maggio 1972» - indelebile: «fui il primo giornalista ad arrivare in via Cherubini, avevano appena sparato al commissario Luigi Calabresi...».
Il nastro della memoria di Raspelli corre nitido: la prima fidanzatina della sua vita che diventa la compagna della vita e la mamma dei suoi due figli, la gastronomia di cui comincia a occuparsi per caso dopo recensioni - e molte stroncature» - dei ristoranti milanesi. Però a un tratto c' è un blackout. «Come un file cancellato per quarant' anni e che d' improvviso torna leggibile» racconta il giornalista che questa vicenda l' ha scritta in prima persona per il settimanale Cronaca Vera.
«Era estate, vacanze in un collegio con altri ragazzi a Chiavari. Quasi un castello in cui ogni studente aveva una stanza. Io ero nella mia. Un pomeriggio mi assalirono in sei mentre io stavo riposando sul letto nella mia camera. In quattro mi bloccarono, gli altri mi tirarono giù i pantaloni. Mi violentarono».
Clic. Le parole si fermano qui.
Buio. Edoardo non ne parla con nessuno. Né con il padre Giuseppe - «un uomo perbene e rigoroso: fascista convinto, al punto da continuare a indossare la camicia nera per le strade di Milano anche dopo il 25 aprile» - e nemmeno con la madre Carla - «una donna moderna, assai sportiva: gareggiava in bicicletta prima della guerra e primeggiava nella scherma».
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Se il ricordo di quella violenza emerge ora «è perché sento il peso della vita che corre: muore gente che conosci, un bimbo a cui facevi da padrino, un amico caro. E il file, chissà perché, torna leggibile».
Due anni dopo la violenza - siamo nel 1966 - Raspelli chiede alla madre di accompagnarlo al cine. Danno «Le amicizie particolari», storia «struggente e tragica di due maschi adolescenti amici - racconta il critico -, poi confidenti, che infine arrivano a un amore che verrà vietato nel rigido collegio gesuita in cui alloggiavano». Al buio della sala il sedicenne Raspelli si mette a piangere. «Mia madre mi guarda sorpresa e mi dice, scandendo le parole: "Piuttosto che tu fossi come loro, preferirei che fossi morto". Io non ero come loro, ma quelle parole le trovai ugualmente terribili. E forse per questo preferii dimenticare tutto».
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