ADIL TANTAOUI IL MAROCCHINO PESTATO NELLA QUESTURA DI VERONA
Estratto dell'articolo di Niccolò Zancan per “la Stampa”
Signor Adil Tantaoui, cosa ricorda del giorno delle torture?
«Ricordo tutto. Erano le otto di mattina del 26 ottobre. Io e mia moglie Elena vivevamo allora in una casa abbandonata, vicino al Bar Bauli, in via Perlar a Verona. Mi ero svegliato presto, stavo camminando nel parco che c'è lì davanti. Un ragazzo italiano mi ha chiesto una sigaretta, ma io non l'avevo. Lui ha preso un bastone e mi ha colpito sulla testa».
Chi ha chiamato la polizia?
«Sono stato io. Mi usciva il sangue, ero incredulo. Io quella persona non l'avevo mai vista prima in vita mia. Ho chiamato la polizia per chiedere aiuto. Non pensavo che sarebbe finita così».
[…] Adil Tantaoui ha 37 anni, ha lavorato come cameraman e come magazziniere. Vive in Italia da sette anni, è sposato con una donna italiana. È incensurato. […]
ADIL TANTAOUI IL MAROCCHINO PESTATO NELLA QUESTURA DI VERONA
Cosa è successo quando è arrivata la polizia?
«Hanno lasciato stare il ragazzo italiano, ma hanno portato via me. Non mi hanno chiesto neanche i documenti, non hanno voluto sapere niente. Un dottore del 118 mi aveva appena medicato la testa. Gli agenti mi hanno caricato in auto e subito uno dei due, quello pelato, ha iniziato a insultarmi: "Arabo di merda! Marocchino te ne devi andare di qua!».
[…]
È stato picchiato nel tunnel del parcheggio?
«Mi hanno preso a calci nelle gambe. E poi mi hanno strappato dalla testa le medicazioni. Ma il peggio è stato dopo».
Cosa è successo?
«Stavo male. Mi hanno tolto tutti i vestiti e mi hanno buttato per terra nella stanza degli arrestati in mutande. Senza mangiare, senza niente. Tutto il giorno e tutta la notte. Sono svenuto».
ADIL TANTAOUI IL MAROCCHINO PESTATO NELLA QUESTURA DI VERONA
Sempre in mutande?
«No. A un certo punto un altro poliziotto, uno che non avevo mai visto, mi ha portato i jeans e la maglietta».
Cosa è successo il giorno dopo?
«Mi hanno caricato su un'altra auto della polizia, questo volta erano due agenti gentili, una donna e un vecchio. E con loro ho fatto il viaggio fino al Cpr di Torino».
Il Centro per le espulsioni di Torino. Ma lei essendo sposato con una donna italiana non può essere espulso. Lo sapeva?
«Questo l'ho scoperto dopo, grazie ai miei avvocati. Sono stato per 35 giorni chiuso lì dentro. È proprio un carcere. Ti tolgono il telefono. La gente impazzisce. Il cibo è tremendo. È un casino. E poi ti danno delle pastiglie per calmarti e molti le prendono, ma io mi sono rifiutato».
VIOLENZE DEI POLIZIOTTI NELLA QUESTURA DI VERONA
Come ha fatto a non perdere la testa?
«Io l'avevo persa. Ero molto triste. Quando al giorno numero 35 la polizia è venuta a prendermi al cancello, io non sapevo il motivo. Ero preoccupato. Pensavo fosse per il mio permesso di soggiorno».
Era per l'inchiesta sui pestaggi nella questura di Verona?
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«Sì. Ho spiegato tutto. Prima a Torino, poi una seconda volta a Verona».
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Lo rifarebbe? Richiamerebbe la polizia?
«Forse no. Non lo so. Non mi aspettavo un trattamento del genere».
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[…]aggredito e avevo bisogno d'aiuto».
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