Estratto dell'articolo di Francesco Borgonovo per “La Verità”
«Siamo la patria della scienza mondiale, il primo servizio meteorologico è stato creato nei conventi della Toscana… Siamo stati il cuore della scienza del mondo e poi arriviamo a questo punto…».
Franco Prodi, già professore di Fisica dell’atmosfera a Ferrara e direttore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr, non sembra amare molto le polemiche. E non intende alimentare quelle che, suo malgrado, lo investono ogni volta che si esprime su quella che - fino a prova contraria - sarebbe la sua materia.
Da decenni studia i fenomeni meteorologici e il clima, ma da qualche anno a questa parte viene indicato come un pericoloso negazionista climatico, viene insultato e svilito. Motivo? Ha firmato una petizione della fondazione Clintel (Climate intelligence) intitolata «Non c’è alcuna emergenza climatica» (la trovate in pagina) ed è estremamente critico della vulgata ecologista contemporanea.
La sua firma appare anche in calce a un nuovo documento di Clintel-Italia, in cui si afferma che «non ci sono sufficienti evidenze che possibili cambiamenti nella probabilità o della magnitudo degli eventi alluvionali possano essere attribuiti all’influenza umana sui cambiamenti climatici».
Secondo gli esperti che hanno sottoscritto il testo «I cambiamenti climatici non vanno confusi - come troppo spesso si ascolta dai mezzi di informazione e dalle dichiarazioni di alcuni responsabili politici - con gli eventi meteorologici, e le alluvioni non dipendono solo da eventi meteo-climatici ma anche dalla geomorfologia e dall’uso del suolo. Le cause dei danni dovuti agli eventi alluvionali e che vengono associati ai cambiamenti climatici sono invece dovuti nella loro quasi totalità a scelte di pianificazione territoriale e costruttive umane non corrette, ad una lettura sbagliata del territorio e del sistema fluviale e marino nella loro continua dinamicità».
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Abbiamo visto i danni che questo ha provocato. C’è chi dice però che eventi simili stiano diventando più frequenti proprio per via del cambiamento climatico.
«Guardi, alla fine degli anni Novanta sono stato coordinatore di un progetto europeo, coordinando studiosi austriaci, tedeschi, inglesi e vari altri specialisti. Il primo package di questo progetto era proprio dedicato all’andamento statistico degli eventi alluvionali. Abbiamo esaminato tutti i casi dai primi del Novecento fino alla data del progetto, e non è emersa alcuna evidenza di frequenza crescente. C’è, questo sì, una frequenza di eventi alluvionali con un aumento dei danni e delle vittime».
E perché aumentano danni e vittime?
«Dipende dal fatto che i territori collinari sono stati utilizzati per fabbriche e abitazioni. È da sfatare il mito secondo cui ci sia un aumento di questi fenomeni, però. E in ogni caso, possiamo parlare di clima solamente quando ragioniamo su scale trentennali: il clima è sostanzialmente una statistica della meteorologia fatta su basi temporali variabili. Quindi questo per me è stato un evento completamente meteorologico e se devo fare un rilievo è che non vedo trattazioni radar-meteorologiche di questo caso dell’Emilia-Romagna».
Perché sarebbero importanti tali trattazioni?
«Utilizzando le osservazioni radar si capisce quanta pioggia cadrà in una determinata zona. Con il modello idrologico si può prevedere il livello di un corso d’acqua lungo il suo percorso».
Se non ho capito male in questo modo si possono dare segnali d’allarme con un certo anticipo.
«Sì, si possono guadagnare anche delle ore, ma pure una mezz’ora sarebbe meravigliosa per anticipare l’allerta alle popolazioni. Nel caso emiliano-romagnolo non so dire se la catena di rischio (così si chiama) sia stata corretta in tutti i punti. In alcune zone - ma qui mi baso su quanto ho visto in televisione ed entro in un campo che non è il mio, quello dell’ingegneria - mi pare che gli argini siano crollati. In altri casi è stato superato il livello».
Quindi il disastro romagnolo dipende, come dice qualcuno, da fattori quali il consumo di suolo, la manutenzione di argini e letti dei fiumi eccetera?
«Il consumo del suolo va assolutamente interrotto, ma per motivi di carattere più generale. È un problema che esiste, ma nella fattispecie non è fondamentale. Se dobbiamo tirare in campo un tema importante parlerei piuttosto della cura dei corsi d’acqua, e qui sono abbastanza in là negli anni per avere assistito al passaggio dalla gestione del Servizio idrologico nazionale alla gestione regionale».
Non doveva succedere?
«Assolutamente no. Un temporale se passa il Ticino non chiede il permesso alla regione Lombardia. La meteorologia deve essere nazionale per definizione, addirittura anche europea per certi aspetti. Io questo aspetto l’ho fatto presente ai tempi della riforma Bassanini, e in altre occasioni successive. Ma ogni volta tanti ossequi al professore e poi mi tenevano fuori dalle commissioni grandi rischi e dalle decisioni sui radar meteorologici».
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