Estratto dell’articolo di Silvia Turin per “il Corriere della Sera”
andrea crisanti matteo bassetti mezzora in piu
Ci sono un «prima» e un «dopo» nella valutazione delle decisioni prese dagli attori in campo che si occuparono di gestire l’emergenza Covid nelle prime fasi della pandemia. Ne è convinto Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive presso il Policlinico San Martino di Genova.
Qual è la sua valutazione sull’opportunità di fare un’inchiesta giudiziaria sulla gestione del Covid a tre anni di distanza?
«Eravamo tutti al buio nelle prime due settimane: è chiaro che oggi, con le conoscenze acquisite, la vediamo in maniera diversa, ma andare a sindacare sulle decisioni prese allora è un esercizio profondamente sbagliato. […]».
matteo bassetti foto di bacco (5)
L’inchiesta vuole dare una risposta anche ai famigliari delle vittime e indicare delle responsabilità…
«Piango le vittime, ma mi chiedo: ci sono state solo a Bergamo, perché è dove abbiamo visto le bare sfilare per strada? Ci sono morti di serie A e di serie B? Abbiamo contato i morti non perché qualcuno ha sbagliato, ma perché è arrivato un virus sconosciuto. Mettere qualcuno sulla graticola è sbagliato e rischioso».
In che senso?
«Secondo me si sta buttando benzina sul fuoco dei negazionisti e dei no vax, perché oggi prendono l’indagine (della Procura di Bergamo, ndr) come una vittoria. Questa indagine temo che incentiverà anche la “medicina di difesa”: nessuno si prenderà la responsabilità di decidere in mancanza di certezze. Non conosco il virus, allora non darò alcun trattamento e non prenderò decisioni se non ci sono evidenze, per il timore di essere inquisito. È un pericoloso precedente sanitario / medico. In medicina, però, le intuizioni hanno cambiato la storia». […]
Politici, tecnici del CTS, amministratori: la catena di comando è stata poco chiara?
«Quel primo Comitato Tecnico Scientifico (CTS) era espressione degli organi tecnico consultivi del Ministero. Non poteva che essere che così, all’inizio, ma esprimo riserve sulla sua “dinamicità”: dopo il primo mese, i membri del CTS andavano sostituiti, magari inserendo i medici che avevano visto la malattia. […]».
A che punto siamo con la prevenzione per la prossima pandemia?
«Credo che si sia ancora al punto zero, anche se so che il ministro Schillaci sta lavorando su questo, ma anche con il governo precedente si è fatto poco. […]».
Il piano pandemico aggiornato sarebbe servito?
«Quello del 2006 comunque recita alcune norme che, se fossero state applicate, sarebbero servite.[…]».
L’istituzione anticipata al 27 febbraio della Zona rossa in Val Seriana avrebbe risparmiato la vita a 4.000 persone, come sostiene la procura di Bergamo?
«Immagino che la valutazione (fatta dal consulente Andrea Crisanti, ndr) sia basata su modelli matematici che partono dalla capacità di diffusione del virus che in quel momento era molto alta. Nessuno ha uno studio scientifico, però, che può dare una riprova del contrario: è evidente che la zona rossa avrebbe aiutato a ridurre (come ha fatto dove si è fatta) la diffusione del contagio, ma gli elementi che avevano in mano i decisori politici e tecnici in quel momento erano sufficienti per prendere quella decisione?
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Non scordiamo che la zona rossa a Codogno era stata istituita una settimana prima e non si erano ancora visti i risultati positivi sul numero dei morti. Credo anche che ci fosse una diversa percezione dello stato delle cose allora: forse a Roma o nel Sud Italia c’era una sottovalutazione dell’entità del problema». […]
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