«BASTAVANO 45 MINUTI PER EVITARE LA STRAGE»
Edoardo Sirignano per “il Giornale”
FRANCESCO SCHETTINO E GREGORIO DE FALCO
Sono passati dieci anni dal 13 gennaio 2012, quando la Costa Concordia affondò tra gli scogli. Allora a coordinare i soccorsi c'era Gregorio De Falco.
Comandante, come è andata? Si poteva abbandonare prima la nave?
«L'urto avviene alle 21,45. Dopo pochi minuti il personale della plancia, fra cui Iaccarino, verificano i danni e alle 21,50, si ha consapevolezza che la nave è persa, essendo oltre tre compartimenti contigui allagati. Si sarebbe dovuta cominciare, allora, la procedura. Al contrario, Costa non avverte nessuno. La sala operativa di Livorno sapeva solo di una stranezza su una nave tra Savona e Barcellona».
Come avete saputo che era la Concordia?
«Perché una passeggera aveva chiamato la figlia e le aveva detto siamo al buio, la nave è spenta e cade roba dal tavolo. La ragazza chiamò i Carabinieri e uno di loro avvertì la Capitaneria. Quando trovammo la nave ci fu dichiarato di un blackout, che però non giustificava le cadute dal tavolo. Chiamammo, quindi, la Concordia, trovandola con la prua rivolta verso sud, elemento che non faceva pensa re a banalità».
Anticipando le operazioni si sarebbero salvate vite?
«Anziché aspettare che la nave fosse inclinata, le persone dovevano essere convogliate subito a punti di riunione e scialuppe. Si sono fatte partire le operazioni, invece, 45 minuti dopo. Le scialuppe, poi, furono messe a mare, solo sul lato dritto, alle 22:56 e forse per effetto di persone già a bordo. Solo allora Schettino disse "vabbuò portiamole a terra". Poi passò altro tempo. La nave, intanto, si inclinava fino a quando non si ammainavano le scialuppe di sinistra».
Cosa accadde quindi?
«Tre si fermarono sulla fiancata, non scivolarono in mare. Circa 450 persone dovettero uscire e furono convogliate dai soccorritori verso poppa via dove c'era una scala di corda posta sul fianco sinistro. Non era quella indicata al comandante posta a prua via destra. In sintesi, si attese troppo. I soccorsi per fortuna no».
La figlia di Schettino la accusa di non aver capito la situazione...
«Bisogna conoscere ciò di cui si parla. Cosa è un ruolo operativo, altro è il tattico. Essendo a 75 miglia non vedevo la situazione, ma la conoscevo, coordinando 48 unità navali e 8 elicotteri. Non capisco, pertanto, a cosa si riferisce la signorina e cosa mi sarebbe sfuggito».
È stato dichiarato di altre telefonate oltre alla nota con Schettino. Cosa vi siete detti?
«L'ho detto in giudizio. Le prime tre comunicazioni sono via radio e avvengono in plancia. Solo quando vanno via tutti usiamo il telefono e ci viene detto che il comandante coordinava i soccorsi dalle scialuppe. Abbiamo saputo dopo che non era lì, ma a terra. Ci sono state, poi, altre comunicazioni, quella radio delle 22:34 in cui gli faccio dichiarare l'emergenza e un'altra, alle 22:48, in cui chiedo se non sia il caso di dichiarare l'abbandono nave che avviene alle 22:56».
Dopo dieci anni, è tutto chiaro?
«Lo è negli sviluppi essenziali. Ci sono aspetti legati a vicende che non determinarono gli eventi, su cui ancora non è stata fatta piena luce, come per Giuseppe Girolamo, batterista che cedette il posto a una signora con due bambini. Con l'autorità a bordo sarebbe stato salvo».
Tutti coloro che hanno sbagliato hanno pagato?
«Non ha pagato solo Schettino. Il processo ha rilevato le responsabilità di chi non ha sollevato il comandante sebbene un comportamento non razionale. Si sarebbe dovuto rilevare che non cambiare rotta, tenere la prua della nave a sedici nodi e a poche centinaia di metri dall'isola era navigazione pericolosa».
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Come risponde a chi le chiede un religioso silenzio?
«Non lo si deve mantenere sulla verità».
È utile ricordare il 13 gennaio?
«Parteciperò alle ricorrenze non per ricordare il comportamento, la responsabilità, ma le vittime innocenti, come Dayana di 5 anni».
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