nino di matteo alfonso bonafede
1 - DI MATTEO "BONAFEDE CAMBIÒ IDEA SULLA MIA NOMINA AL DAP PER LO STOP DI QUALCUNO"
Liana Milella per “la Repubblica”
Nino Di Matteo è al Csm. Chiuso nella sua stanza. Per un' intera giornata, lunedì dopo la sua telefonata a "Non è l' arena", è stato irraggiungibile. Poi ieri eccolo di nuovo disponibile. Con la voce vagamente angosciata di sempre. Non vuole dire nulla. Lo premette. Insisto.
Perché questo silenzio?
«Ho tenuto il telefono spento, ho lavorato. Quello che avevo da dire sono riuscito a dirlo nella telefonata, non voglio commentare i fatti».
alfonso bonafede francesco basentini 1
Ma i fatti sono quelli?
«Sì, i fatti sono quelli, il mio ricordo è preciso e circostanziato».
Ripercorriamoli, allora, quei fatti.
alfonso bonafede luigi di maio
«Era lunedì, il 18 giugno. Ero a Palermo, a casa, il giorno dopo sarei tornato a Roma, nel mio ufficio alla procura nazionale antimafia. Squillò il telefono una prima volta, con un chiamante sconosciuto. Non risposi. Suonò di nuovo. Era Bonafede. Con lui non avevo mai scambiato una parola. C' era stato solo un incontro alla Camera nel corso di un convegno sulla giustizia e poi un altro alla convention di M5S a Ivrea. La telefonata durò 10 o 15 minuti».
luigi di maio alfonso bonafede flash mob del movimento 5 stelle per l'approvazione della spazzacorrotti 13 4
Cosa le disse Bonafede?
«Mi pose l' alternativa, andare a dirigere il Dap oppure prendere il posto di capo degli Affari penali. Aggiunse che dovevo decidere subito perché mercoledì ci sarebbe stato l' ultimo plenum utile del Csm per presentare la richiesta di fuori ruolo. Richiesta che era urgente per il Dap, ma non lo era per la direzione degli Affari penali».
Che in quel momento però era occupato dalla collega Donati e che non conta più come ai tempi di Falcone perché nella scala gerarchica c' è un capo dipartimento?
nino di matteo virginia raggi marco travaglio
«Esatto. Gli dissi che sarei stato a Roma il giorno dopo e mi sarei recato da lui al ministero».
ALFONSO BONAFEDE NEGLI ANNI '90 QUANDO FACEVA IL VOCALIST ALL'EXTASY
Come finì la conversazione?
«Bonafede chiuse il telefono dicendo "scelga lei'"».
Insomma, lei poteva fare il capo di una polizia con un indiscutibile potere del tutto autonomo oppure stare sotto un capo?
«Proprio così».
Che accadde a Roma quel martedì?
«Entravo per la prima volta al ministero della Giustizia dai tempi del concorso. I colleghi che mi accolsero mi dissero "lei viene qui su invito del ministro, altri vengono di loro iniziativa...". Mi sedetti davanti a Bonafede e gli dissi che accettavo il posto di capo del Dap. Lui però, a quel punto, replicò che aveva già scelto Basentini, mi chiese se lo conoscessi e lo apprezzassi. Risposi di no, che non lo avevo mai incontrato».
nino di matteo marco travaglio
Chiese al ministro perché aveva cambiato idea?
«No, non lo feci, ma rimasi sorpreso.
Devo presumere che quella notte qualcosa mutò all' improvviso.
Bonafede insistette sugli Affari penali, parlò di moral suasion con la collega Donati perché accettasse un trasferimento. Non dissi subito no, ma manifestai perplessità. Siamo a giugno, disse Bonafede, lei mi manda il curriculum, a settembre sblocchiamo la situazione».
Il giorno dopo lei tornò in via Arenula.
nino di matteo processo sulla trattativa stato mafia 2
«Sì, lo chiamai e tornai da lui per cinque minuti, il tempo di dirgli che a queste condizioni non ero più disponibile. Cose come queste sono indimenticabili. Come il nostro ultimo scambio di battute. Io gli dico di non tenermi più presente per alcun incarico, lui ribatte che per gli Affari penali "non c' è dissenso o mancato gradimento che tenga".
Una frase che, se riferita al Dap, ovviamente mi ha fatto pensare».
Con il Guardasigilli fu affrontata la questione delle esternazioni dei boss contro di lei?
«Bisogna fare un passo indietro. Dopo le elezioni alcuni giornali scrissero che c' era un' ipotesi Di Matteo al Dap. Dell' esistenza del rapporto lo appresi il giorno prima o lo stesso giorno della visita. Mi chiamarono da Roma dei colleghi per dirmi che c' era una cosa molto brutta che mi riguardava. In più penitenziari, per esempio all' Aquila, boss di rango avevano gridato "dobbiamo metterci a rapporto col magistrato di sorveglianza per protestare contro questa eventualità". Subito dopo 52 o 57 detenuti al 41 bis, ciascuno per i fatti suoi, avevano chiesto di conferire. A quel punto era stata fatta un' informativa diretta a più uffici di procura e al Dap».
NINO DI MATTEO CON DI BATTISTA
Sì, questi sono i fatti, ma lei parlò del rapporto con Bonafede?
«Il ministro si mostrò informato della questione».
Perché rimase deluso da quella che considerò una marcia indietro del ministro?
«Pensai allora, e ho sempre pensato, di essere stato trattato in modo non consono per la mia dignità professionale. Io vivo una vita blindata da 15 anni, mi muovo con 15 uomini intorno che controllano ogni mio movimento. Sulla mia testa pende una condanna a morte mai revocata di Riina. Collaboratori attendibili continuano a dire che per me l' esplosivo era già pronto. Faccio il magistrato e con tutto quello che ho fatto nel mio lavoro sapevo e so che non devo chiedere niente".
nino di matteo processo sulla trattativa stato mafia
Visto che ne ha parlato già in tv mi spiega di nuovo cosa la turbò nel comportamento di Bonafede?
«Prima una proposta, poi un' altra. Da allora mi sono sempre chiesto cos' era accaduto nel frattempo. Se, e da dove, fosse giunta un' indicazione negativa, magari uno stop degli alleati o da altri, questo io non posso saperlo».
Scusi, Di Matteo, ma sono passati due anni da allora, perché non ne ha parlato subito?
«Per alto senso istituzionale non potevo dire perché non avete nominato me anche se c' era chi, accanto a me, faceva le ipotesi più fantasiose, ma io non ho mai voluto dire niente. Se avessi parlato sarebbe apparso fuori luogo, come un' indebita interferenza».
giuseppe conte alfonso bonafede 1
E perché allora lo ha fatto adesso?
«Dopo le dimissioni di Basentini, proprio come due anni fa, alcuni giornali hanno di nuovo scritto che mi avrebbero fatto capo del Dap. Quando Roberto Tartaglia è diventato vice direttore eccoli scrivere "arriva il piccolo Di Matteo". Poi domenica sera, quando ho sentito fare il mio nome inserendolo in una presunta trattativa - e sia chiaro che lo rifarei negli stessi termini - ho sentito l' irrefrenabile bisogno di raccontare i fatti, al di là delle strumentalizzazioni».
Lei ora passa per anti Bonafede, ma in questi due anni più volte ha parlato bene delle sue leggi.
«È un fatto che quanto è accaduto non mi ha condizionato, tant' è che sono intervenuto sulle iniziative del ministro. Ho detto sempre quello che pensavo, com' è accaduto sulla prescrizione. Io non sono uno che fa calcoli. Che rimugino su quanto dico e a chi lo dico. Ma dopo quei colloqui ci sono rimasto male e ho detto quello che pensavo quando ho sentito dire delle inesattezze. Non intendo giudicare il lavoro di Basentini, né contestare la scelta di Petralia, ma se si parla del perché non è stato scelto Di Matteo per fare il capo del Dap io ho il diritto di dire come sono andati i fatti. Se mi chiameranno in una sede istituzionale andrò a spiegare quei fatti per come li ho vissuti. Ma almeno adesso mi sono tolto un peso».
2 - DI MATTEO: "BONAFEDE MI HA SCARICATO MI DIFENDERÒ CON IL COLTELLO TRA I DENTI"
Francesco Grignetti per “la Stampa”
Solo il poeta potrebbe cantare «l' ira funesta» del dottor Nino Di Matteo, il pm più scortato d' Italia, protagonista del processo sulla trattativa Stato-mafia, spirito inquieto che entrò in conflitto con molti colleghi di Palermo, con il capo della Superprocura antimafia, e ora al Csm è destinato a entrare in guerra pure qui. Dopo il suo sfogo televisivo di domenica notte, il dottor Di Matteo è diventato protagonista di una nuova guerra. Fratricida, si potrebbe dire, perché ora è in conflitto con chi, il Movimento Cinque Stelle, lo ha idolatrato fino al giorno prima. Ma siccome il dottor Di Matteo non è un ingenuo, è chiaro che sapeva quel che faceva. «I fatti sono quelli. E non sono pentito di averli raccontati. Ricordo tutto nei particolari. Per me è stato un episodio indimenticabile e non c' è nessun equivoco».
ALFONSO BONAFEDE NEGLI ANNI '90 QUANDO FACEVA IL DJ ALL'EXTASY
Così si è sfogato con diversi interlocutori, ieri, in una giornata trascorsa tutta al telefono.
Siccome a parlare di «equivoco» sono stati i grillini, è evidente con chi ce l' ha. Con chi vuole farlo passare per un pasticcione e un visionario. Nossignore. «Io non faccio illazioni.
E non penso minimamente che il ministro Bonafede sia colluso con la mafia. Però è un fatto che abbia cambiato idea nel giro di 12 ore, tra un lunedì sera e un martedì mattina. E quel che non posso accettare, è che si metta in discussione la mia lealtà».
Con Bonafede, però, è amareggiato. «Da cittadino sarei preoccupato per un ministro che in un momento così delicato e con un magistrato così esposto si lasciasse convincere e tornasse indietro. Se chiamarmi e poi cambiare idea è stata una sua valutazione autonoma, non lo so».
Lui si dichiara «un soldato della Repubblica». Quando i capi politici del M5S lo contattarono e gli offrirono il ruolo di ministro dell' Interno, e per ben due volte in pochi giorni, e poi cambiarono idea e scomparvero, «mica ho chiesto il perché.
Non è mio costume chiedere niente ai politici». Così come quando lo contattò il ministro.
«Una chiamata sul mio cellulare, anonima. Sono Alfonso Bonafede. Non ero mica stato io a chiamarlo».
Come è finita, ormai è storia. Bonafede gli offrì due incarichi: direzione delle carceri e direzione degli affari penali al ministero. Il primo, incarico molto operativo e di prima grandezza. Il secondo, più oscuro e subordinato a un altro magistrato.«Era un lunedì sera. Mi disse solo che avrebbe preferito avermi al Dap e di decidere presto perché dopo due giorni ci sarebbe stato un plenum del Csm, ancora nella vecchia formazione (era la consiliatura 2014-18 con la vicepresidenza Legnini, ndr), e se avessi scelto il Dap, avrebbero potuto deliberare in giornata di mettermi fuori ruolo».
Ebbene, il mattino dopo Nino Di Matteo varcava il portone del ministero («Dove non ero mai più entrato dai tempi del concorso del 1991», ha ricordato a un amico). Ma l' aria era già cambiata. Il ministro aveva scelto un altro per il ruolo del capo delle carceri. «Perché sia avvenuto non lo so e non l' ho chiesto: se ci siano state pressioni politiche, se da parte di qualcuno dei miei colleghi o se da ambienti istituzionali».
Nel frattempo c' era stata la sollevazione dei mafiosi al solo ventilare il suo nome. «Cinquantasette boss al 41 bis del carcere dell' Aquila chiesero rapporto al magistrato di sorveglianza, per annunciare che se fosse passato Di Matteo al Dap, sarebbe esplosa la protesta. Mi chiamò un collega della Superprocura per chiedermi se dovevano rafforzare ancora la scorta. Oddio, no. A me già mi toglie il respiro come è ora».
Insomma, il dottor Di Matteo s' è tolto un rospo dalla gola. E tutti lì a chiedere: perché ora? «Perché ci sono state centinaia di scarcerazioni di persone vicine a Cosa Nostra con la storia del contagio. Preoccupa solo me? Giletti mi ha chiesto di spiegare come funzionano le cose e io ho spiegato. Oltretutto, se sentivo di avere un debito di riservatezza con Basentini ora non ce l' ho più. E siccome il ministro ha scelto altre persone, non si può dire neanche che mi sto candidando».
E però la bestia nera dei mafiosi è nella scomoda posizione di trovarsi in solitudine. «Una dinamica che ho visto molte volte con i collaboratori di giustizia. Finché parlano dettagliatamente di fatti criminali, tutto bene. Viceversa, tutto cambia quando alzano il tiro e chiamano in causa il potere. È successa la stessa cosa con me. Immediatamente si è pensato che io volessi avere chissà quale interesse politico».
nino di matteo processo sulla trattativa stato mafia 1
Il magistrato ha fiutato l' aria domenica sera subito dopo la diretta di "Non è l' Arena". «E' andata bene, Nino, erano tutti dalla tua parte», gli ha spiegato la moglie. Ma lui, già in quel momento, non ha avuto dubbi: «Vedrai che tra due giorni la frittata si rivolta». E così è stato.
I grillini lo caricano a testa bassa. I tre colleghi laici del Csm espressi dal M5S sostengono che ha leso l' istituzione. Lui ha sotto gli occhi la loro dichiarazione e trattiene a stento la rabbia. «L' onorabilità di questa istituzione è lesa dalle mille opacità». Comunque, siccome il dottor Di Matteo non è un ingenuo, ora si aspetta il peggio. Non solidarietà dai suoi colleghi. Già l' intervista a questo giornale di Armando Spataro, suona da campane a morte.
«Proprio lui che quando io portavo avanti l' indagine sulla trattativa Stato-mafia sosteneva che quel processo non andava fatto». Ha confidato ai suoi amici che non si meraviglierebbe persino che sia avviata una iniziativa disciplinare. «Ma li aspetto a pié fermo. Mi difenderò con il coltello tra i denti». E c' è da credergli.