Giovanni Terzi per “Libero quotidiano”
Luciano Garofano ex ris di parma
Ci sono due frasi di Arthur Conan Doyle, lo scrittore e drammaturgo britannico creatore di Sherlock Holmes, che riecheggiano nella mia memoria quando penso a quanto siano cambiate le indagini investigative negli ultimi anni: «Nella matassa incolore della vita scorre il filo rosso del delitto, e il nostro compito sta nel dipanarlo, nell'isolarlo, nell'esporne ogni pollice». Ci fa comprendere quanto sia importante l'attenzione al particolare, al dettaglio. Se poi viene seguita da quest'altra frase, «… il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare», rimarca come spesso la soluzione dei casi sia sotto i nostri occhi, o meglio, nel luogo del crimine.
Di questo parliamo con Luciano Garofano, biologo e generale in congedo dell'arma dei Carabinieri, colui che ha comandato il famoso Ris di Parma - il Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma - facendolo diventare un riferimento nazionale per le indagini sciemtifiche.
Da quando lei iniziò molte cose nelle indagini sono cambiate e si sono evolute a livello scientifico?
«Credo che siamo in un periodo in cui la scienza ha consentito una vera e propria rivoluzione dal punto di vista delle possibilità di analisi. Sono nati test che ci permettono di vedere tracce invisibili ad occhio nudo. Se ci pensate, fino a poco tempo fa non avevamo né la possibilità di analizzare il Dna, né avevamo a disposizione microscopi analitici che permettono di vedere e esaminare l'invisibile. Questo lo dico perché una volta si analizzava solo ciò che l'occhio vedeva».
Uno dei primi casi che lei ha affrontato è stato quello della strage di Capaci. Vuole raccontare questa sua esperienza?
«È stato il mio primo grande caso, anche se ricordo con emozione pure la strage di Bologna. Insieme al dottor Aldo Spinella, all'epoca responsabile del Laboratorio di biologia della polizia di Stato, e grazie all'amicizia e alle relazioni che lo stesso Falcone aveva con l'Fbi, siamo riusciti a dare un contributo decisivo al caso. Le indagini sui famosi mozziconi di sigaretta avevano contribuito ad individuare i soggetti responsabili di quella efferata strage. In seguito uno di loro divenne collaboratore di giustizia, e credo che fu anche grazie ai miei modi di interloquire con lui che poi si pentì».
Pochi ricordano che l'autista di Falcone si salvò perché non guidava. Pensa che se fossero stati seduti dietro, il giudice e la moglie si sarebbero salvati?
«Non posso dirlo, e credo che questo faccia parte di casualità e destino. La logica direbbe che visto che Costanza, l'autista che si era seduto dietro lasciando Falcone e la Morvillo davanti, si salvò, lo stesso sarebbe potuto accadere anche al contrario. Però, mi creda, con un esplosivo così elevato, cento chili, è difficile, anzi impossibile, fare ipotesi. La mafia aveva organizzato per ammazzare tutti».
Quest'anno è scomparso Donato Bilancia, il killer delle prostitute. Come si riuscì a prendere?
«È stato il trionfo della collaborazione tra indagini tradizionali e nuova scienza fatta di Dna e balistica. La scienza analizzava, ma parallelamente sul terreno, localmente, si cercava di stringere attorno a qualcuno che avesse caratteristiche compatibili. Se da una parte noi avevamo un residuo di Dna, questo sarebbe rimasto privo di valore senza la modalità classica di investigazione. Se ci penso abbiamo arrestato, in quaranta giorni, un killer che aveva commesso in sei mesi diciassette omicidi. Di questo devo ringraziare l'intuito investigativo dell'allora colonnello Filippo Ricciarelli e dei suoi uomini. Devo dire che siamo stati premiati perché tutta la parte tecnica si è fondata, dal punto di vista logistico, su un unico laboratorio. I reperti, infatti, approdavano a Parma, e questo ha consentito di dire che era la stessa mano che si macchiava dei tanti delitti».
Che personalità aveva Donato Bilancia?
«Era un istrionico che uccideva perché si sentiva vessato dalle persone che frequentavano assieme a lui le bische clandestine. Uccideva per vendetta e frustrazione.
Bilancia è stato per me il serial killer più atipico del mondo; era mosso da una vera e propria furia omicida e per lui uccidere divenne una sfida».
A cosa portarono le indagini tradizionali?
«Alle somiglianze tra le vittime. Queste frequentavano le bische clandestine. Inoltre alcune testimonianze come quella decisiva del trans che si finse morto».
Un delitto che fece diventare mediatica la cronaca nera fu quello di Cogne. Perché, secondo lei, molti ancora credono nella innocenza della Franzoni?
«Come in tanti casi accade, a chi non legge le risultanze processuali, di rimanere vittima di pregiudizi o suggestioni. Oggi, spesso, l'opinione pubblica segue l'emotività e non è obiettiva sui dati. Le faccio un esempio...».
Mi dica.
«Noi abbiamo seguito l'ipotesi di una terza persona quando abbiamo rilevato tracce diverse di sangue nel garage, ma poi si sono verificate essere di un animale. Quella di Cogne fu un'indagine incredibile, avevamo a Parma costruito una stanza apposta che ci facesse fare le prove di come si erano distribuite le macchie di sangue sul pigiama, sul piumone e sul muro».
E siete così arrivato alla mamma?
«Non noi, il giudice. L'esperto non dà il nome dell'assassino, ma ne fa emergere le caratteristiche utili affinché il giudice possa decidere».
Però molti altri casi nella storia del crimine sono rimasti irrisolti: perché?
«Spesso quello che non è recuperabile è l'attività sulla scena del crimine. Ciò che tu perdi e contamini alla fine non recuperi e tendenzialmente rende difficile ogni ricostruzione. Spesso c'è poca organizzazione e ritengo che sarebbe urgente e necessario una adeguata formazione».
Mi faccia un esempio.
«Spesso c'è arroganza tra chi arriva e decreta, ad esempio, un suicidio. L'esempio di Tiziana Cantone, a cui nessuno ha mai fatto una autopsia, è solo l'ultimo di una lunga lista».
Altri esempi?
«L'omicidio di Chiara Poggi. I primi interventi - i Ris vennero dopo - sono stati fatti in modo superficiale. Inoltre anche le testimonianze dovrebbero tutte essere video registrate. Un giudice, sempre, si trova a decidere senza vedere le prime sit (sommarie informazione testimoniali) che spesso potrebbero divenire decisive. In questo modo la testimonianza perde di valore».
Cos'altro manca per rendere più giusta l'investigazione?
«Avvalersi di tecniche psicologiche da attuare durante l'interrogatorio. Sarebbe importante arricchirsi di queste competenze».
Un altro delitto che mostra crepe investigative è quello di Erba.
«Noi, i Ris, non abbiamo trovato niente per quello che sono stati i nostri accertamenti (né nel camper né nell'appartamento) che potesse avere un nesso causale dell’omicidio. Altri hanno trovato una traccia che è servita per l'incriminazione di Rosa e Olindo».
Sul caso dell'omicidio di via Poma a Simonetta Cesaroni?
«Ho grande rispetto per una sentenza passata in giudicato e quindi Busco deve essere considerato innocente. Da parte mia, non sono d'accordo sulle analisi delle tracce su reggiseno e corpetto che, secondo me, dimostrano una responsabilità chiara».
uomo misterioso guarda david rossi ore 20 e 11
E cosa dire di tanti "suicidi" imperfetti, da David Rossi a Mario Biondo?
«I suicidi sono molto insidiosi. Ci si appiattisce sull'ipotesi del suicidio perché apparentemente accontenta tutti: così è stato per molti casi e, mi creda, meriterebbero più attenzione e protocolli condivisi».
Tra tutti i casi che lei ha seguito, ce n'è uno che le è rimasto impresso? Perché?
«Anche se cerchi di distaccarti dagli aspetti emotivi, spesso non ci riesci. Così l'omicidio di Novi Ligure compiuto da Erika e Omar mi sconvolse; forse anche perché avevo io figli della stessa età dei protagonisti. Mai compreso e mai dato spiegazione a come una sorella sia riuscita a compiere un delitto così efferato nei confronti del fratellino dodicenne».
Insomma, c'è più scienza ma meno certezza di prendere l'assassino. Come mai? Ci manca il saggio "commissario Nardone"?
«Credo che abbiamo tutti gli strumenti per arrivare alle soluzioni dei casi senza pregiudizi e credendo al valore di ogni ruolo. Forse a volte manca l'umiltà».