Estratto dell'articolo di Francesca Angeleri per il "Corriere della Sera"
Dopo anni ha cambiato la sua foto profilo. Via il disegnino che la ritraeva con l’immancabile caschetto nero e il cappellino fucsia un po’ crocerossina della cellulite. Adesso sul profilo di Cristina Fogazzi alias l’Estetista Cinica c’è una bella foto in posa, persino un po’ sexy, della donna che da uno studio di estetica con la branda sul retro per dormire, ha messo su un impero da oltre 70 milioni di euro. […]
È un po’ stanca di essere la Cinica?
«Vorrei tornare a essere Cristina Fogazzi. Ci stiamo provando. Non mi dà fastidio se mi chiamano la Cinica però, ecco, credo di essere diventata la Cristina che non parla solo di beauty».
[…]il vento per gli influencer sta cambiando?
CHIARA FERRAGNI CRISTINA FOGAZZI
«Neanche per il Mostro di Firenze gli italiani si indignavano così come online. Tutti sono convinti che gli influencer guadagnino soldi troppo facilmente, ma c’è chi ne guadagna di più e magari su Instagram non lo vedi. Le più grandi cattiverie le vedo scritte da chi avrebbe voluto diventare influencer e non c’è riuscito. Non è un posto da raccomandazione la Rete, alla fine è democratica. Arrivi se piaci».
Quando Instagram è stato un posto bello?
«Non so se lo sia mai stato. Nel primo periodo era un modello aspirazionale: c’erano ragazze molto belle in case e hotel molto belli, con vestiti molto belli e fotografie bellissime. E io mi sentivo molto a disagio».
Per cosa?
«Avevo già più di 40 anni e lavoravo tutto il giorno in una cabina estetica. E non c’era certo un fotografo a farmi le foto, se scorri indietro nel mio feed trovi delle immagini agghiaccianti. Mi piaceva? No. Ma alla gente piaceva e molto. L’evoluzione di quella cosa lì è una grande rabbia sociale».
Arrabbiata, invidiosa, lei lo è stata?
«La disuguaglianza è sempre esistita. Quando facevo il liceo, i miei compagni di classe erano ricchi e io no. Mio padre aveva avuto un disastro finanziario. Ho provato a fare l’università ma ho dovuto lasciarla».
I suoi anni '80 non sono stati d’oro.
«Non sono stati gli anni delle possibilità. E poi erano Milano-Cortina in 4 minuti, le donne iper sessualizzate con le poppe di fuori nelle tv di Berlusconi...».
La sua chance è stata il centro estetico a Milano aperto con il mutuo. Un po’ il suo garage della Apple, insomma. Quale è stata la fiamma che ha fatto partire il business alla grande?
«Le bende drenanti. Hanno fatto esplodere l’e-commerce. Tra l’altro nessuno credeva che le avrei vendute... Sono state l’innesco di un sacco di cose. Solo con il passaparola».
Non ha mai nascosto di non essere nata nel Mulino Bianco. Come è cresciuta?
«Sono figlia di una famiglia molto disfunzionale. I miei genitori si separarono che ero piccola e non era come adesso, mia madre era l’unica separata nel raggio di 70 km. Era uno stigma sociale. A scuola c’ero solo io figlia di divorziati».
Sua madre?
«Negli anni ha inanellato una serie di esaurimenti nervosi, quando sono diventata grande ho capito che aveva un disturbo bipolare. Alternava momenti brillanti ad altri con dipendenze da farmaci. È stata una donna complessa. Però ce l’ho fatta a riappacificarmi».
Come?
«Sono spelacchiati i genitori quando invecchiano. Sono gli stessi che magari hai odiato con tutta te stessa da adolescente e poi li vedi malconci e ti si spacca il cuore. E preferiresti che avessero ancora la forza per farsi odiare. Ma non ce l’hanno più. E sopraggiunge un’infinita tenerezza. Il mio switch è stato quando ho compiuto 34 anni, l’eta in cui mamma si è separata. E mi sono chiesta: “Ma io, adesso, se mi capitasse quello che è capitato a lei, come reagirei? Cosa farei? Con una bambina, senza un lavoro, con la quinta elementare”. E la psicoterapia che non esisteva. Io la psicoterapia l’ho fatta per 15 anni, lei no. Aveva la pensione minima mia madre e mio papà ha la pensione sociale. Mi sento fortunata a essermi potuta prendere cura di loro. Sono stata anche io a partita Iva, senza assicurazione... dai le solite cose. Che capitano a tutti».
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La scorsa estate sua mamma è mancata. Perderla è stata dura quanto averla avuta?
«È stata difficile fino all’ultimo. In vacanza non ci volevo mai andare perché era giurato che appeno partivo stava male. Il mio psicoterapeuta a un certo punto mi dice: Cristina questo sta diventando un ricatto. Allora ho prenotato i voli. Ho paura dell’aereo, per questo non sono mai andata negli Stati Uniti, ma parto. Atterro a Ibiza e dopo sei ore mi dicono che è morta. Ed era stabile, altrimenti non sarei mai partita. Ho pensato che fino all’ultimo me l’aveva fatta... sempre al terapeuta dico che sono incazzata e lui: “È normale Cristina”. E poi...».
E poi?
«E poi il dolore è arrivato tutto».
Suo marito Massimo Portulano c’è sempre ma un po’ defilato. Come si conquista l’equilibrio con una posizione come la sua?
«Uno scossone, quando sono diventata molto popolare, lo abbiamo avuto, perché è stato complicato da gestire. Massimo fortunatamente non è un maschio alfa che patisce se sua moglie guadagna più di lui. È il classico elettore di sinistra che all’inizio, con ’sti social, mi guardava e mi chiedeva se ero sicura di quello che stavo facendo. Aveva il classico snobismo intellettuale. Poi ha capito».
Cosa pensa del caso Ferragni?
«Chiara è una mia amica, con lei non posso essere oggettiva».
Un sassolino che si vuole togliere dalla scarpa?
«Sono sicura che se fossi un uomo, con i numeri che fa la mia azienda, sarei considerato un genio dell’imprenditoria. Invece resto l’Estetista Cinica».
Adesso si lancia all’estero. Ha timore che non la accolgano bene senza capire lei e il suo accento bresciano?
«L’idea non è stravincere, ci basta partecipare».
Tra le soddisfazioni che si è tolta c’è quella di essere diventata una collezionista d’arte, lei che è sempre stata un’appassionata.
«Potersi comprare delle cose è bello, vederle anche. Ieri mi è arrivato l’invito per l’inaugurazione della Biennale di Venezia e mi sono messa a piangere. Questo davvero mi emoziona. Poter vedere le opere in silenzio, con nessuno intorno... ricordo ancora che affittammo un monolocale con degli amici per visitarla. Ci stavamo in dodici».
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