Estratto dell’articolo di Fiammetta Cupellaro per “La Repubblica – il Venerdì”
Anche all’altare è sempre una questione di schei, di soldi. L’eterno diavolo del Nordest. Luca Favarin, cinquantenne padovano, capelli lunghi, occhiali, felpa con cappuccio e sciarpa arcobaleno, è un ex parroco che incassa quasi due milioni di euro l’anno.
Grazie ad un ristorante, “Strada Facendo” e a una cicchetteria, “Versi ribelli”, all’interno della caffetteria al museo degli Eremitani, un campus per minori non accompagnati. Una rete che fa capo alla cooperativa Percorso Vita, con circa 40 dipendenti e di cui Luca Favarin è il presidente. Il personale proviene tutti dai centri di accoglienza per migranti di Padova.
La Curia ora lo ha sospeso a divinis e dalla fine di agosto non può più celebrare. Secondo Mario Cipolla, il vescovo della città di Sant’Antonio, nei bilanci della cooperativa c’era poca trasparenza. In buona sostanza la sua sarebbe stata una attività imprenditoriale vera e propria in quanto tale «proibita dal diritto canonico».
«Erano interessati soltanto a vedere i conti e io ho detto no. Così hanno preferito cacciarmi», si difende invece Favarin. Così la città adesso si divide tra chi accusa l’ex parroco di Santa Maria di Lourdes di lucrare sull’accoglienza e chi invece lo difende come un moderno San Francesco. Anzi, un santo 2.0, visto che i messaggi più importanti – come quello di sentirsi ormai fuori dalla Chiesa – li ha affidati a post sul suo profilo Facebook. […] Nel frattempo, Don Luca annuncia il desiderio di avere un figlio. Forse con l’utero in affitto.
Favarin, ma come pensava di fare il prete e anche l’imprenditore?
«Non sono un imprenditore, sono il presidente di una cooperativa sociale che è tutta un’altra cosa. Investiamo tutto quello che guadagniamo. La Curia per anni ha fatto finta che io non esistessi. Almeno dal 2012, anno in cui ho chiesto di essere esonerato dai miei doveri di parroco, mi occupavo della parrocchia di Santa Maria di Lourdes a Vigonza.
La rete di associazioni che avevo messo in piedi, impegnate nell’inclusione di migranti e di minori, mi stava assorbendo troppe energie e avevo capito che avrei dovuto fare solo quello. Per lungo tempo io la Curia non l’ho cercata e loro non hanno cercato me. All’improvviso, nel 2020, mi hanno contestato il metodo di accoglienza e hanno chiesto di vedere i conti dicendo che la mia figura creava disagio all’interno della Chiesa. Io, capisce?, non i preti accusati di pedofilia. E così me ne sono andato via. Ognuno per la sua strada».
A proposito di bilanci, lei quanto guadagna?
«Ora 1.200 euro al mese. Ho un contratto con la cooperativa di cui sono il presidente. Contratto di tipo A1, ossia il livello più basso. Sono tornato a vivere con mia madre e il mio ufficio è nel garage di una delle sedi della cooperativa. Per il resto, ho molti amici che mi aiutano».
Anche sacerdoti?
«No. Dopo 25 anni non ho più visto nessuno. Ma non ho nulla di cui vergognarmi. Secondo loro, sbaglio? Pazienza».
Lei, però, dice che la vita religiosa le manca: ma allora perché non ha cercato di organizzare l’accoglienza come voleva la diocesi?
«La Chiesa vuole i migranti con la mano tesa. Qui non viviamo di elemosine, ma del nostro lavoro. Questa è un’attività commerciale che vogliamo difendere. Noi stiamo dimostrando che non c’è bisogno di mendicare ma che quelli che pensiamo debbano vivere delle nostre elemosine – alcuni di loro cinque mesi fa erano su un barcone – si possono mantenere da soli e, anzi, creare posti di lavoro. […]».
Però ci sarà stato all’inizio qualcuno che avrà creduto nelle sue idee e che vi avrà aiutato?
«Nel 2017 ho chiesto un mutuo di 700 mila euro».
Mentre era ancora un sacerdote?
«Certo. La rete della cooperativa si stava ampliando e bisognava fare scelte precise. Mi scusi, ma come potevo pagare i professionisti che mi hanno aiutato ad aprire il ristorante e tutto il resto? Con l’Ave Maria e il Padre Nostro? Qui sono arrivati ragazzi con ferite ancora aperte, scioccati, che non parlavano italiano. […]».
Poi c’è la questione dei ragazzi minorenni. La loro gestione sarà più complicata che organizzare un ristorante...
«Ogni Comune che affida a noi un minore paga una retta. Ogni anno togliamo dalla strada circa 150 ragazzi con problemi gravissimi alle spalle. Lavoriamo per inserirli a scuola o nel mondo del lavoro». […]
In questa sua seconda vita c’è spazio per un figlio? Abbiamo letto che lei potrebbe diventare padre con la maternità surrogata.
«Sono dell’idea di voler rimanere single, almeno per il momento. Poi chissà. Ho 50 anni, per questo avevo detto che semmai avessi desiderio di un figlio, mi sarei rivolto a quel tipo di scelta. Ma ora mi sento resuscitato e ho altro da fare». […]
il post facebook di don luca favarin