1 - IL PADRE DI VANESSA ZAPPALÀ: «L'EX ANTONINO SCIUTO DUPLICÒ LE CHIAVI DI CASA PER SPIARCI DAL SOTTOTETTO E LA PEDINAVA CON UN GPS»
Felice Cavallaro per il “Corriere della Sera”
Sul pendio della più bella terrazza dell’Etna, come chiamano Trecastagni, echeggia la disperazione di una madre che non si rassegna all’idea di avere perduto la figlia, uccisa da un ex fidanzato, un balordo in fuga con la pistola del delitto, prima di farla finita: «S’impicco? Ora ‘u Signuri c’avi a pinsari».
Si danna Antonia Lanzafame che, avvertita nella notte, dalla villetta in pieno centro, ha svegliato il marito separato nella casa lì a due passi dove Vanessa Zappalà doveva rientrare dopo la passeggiata notturna tra i faraglioni di Aci Trezza. «Non torna più nostra figlia...».
È la stessa disperazione di questo padre cinquantenne, i calli alle mani di chi impasta cemento, il cuore grande anche con il ragazzotto che non gli piaceva ma che per rendere felice sua figlia l’anno scorso accolse in casa, ospitandolo per una convivenza culminata in litigi continui.
E da questi litigi bisogna partire per capire come si è arrivati alla doppia tragedia finale, nonostante le denunce di stalking, i pedinamenti e l’arresto di uno psicopatico convinto di essere uno 007 pronto a spiare le vite degli altri con acrobatici stratagemmi.
Seguiva e spiava sua figlia Vanessa?
«Quando dopo botte e parolacce mia figlia l’ha mollato, quando io gli ho tolto le chiavi di casa, ha cominciato ad appostarsi per ore sotto le finestre o davanti al panificio dove Vanessa lavorava».
Per questo lo avete denunciato?
«Dopo la frattura di dicembre, dopo un inverno passato da Vanessa prigioniera in casa per paura di incontrarlo, dopo mille minacce, abbiamo dovuto mettere nero su bianco. Perché abbiamo scoperto che con un duplicato delle chiavi la sera si intrufolava nel sottotetto di casa mia, una sorta di ripostiglio, e dalla canna del camino ascoltava le nostre chiacchiere».
Come s’è difeso?
«Balbettando: “Mi hanno detto che tua figlia ha un altro”. Lei non ha nessuno, ma tu non sei il suo fidanzato. “Tua figlia è menomata”. L’ho cacciato, ma aveva il piano B».
Ha continuato a controllarvi?
«Con una diavoleria elettronica. Con dei Gps, delle scatolette nere piazzate sotto la macchina di Vanessa e sotto la mia. Come hanno scoperto i carabinieri quando finalmente, chiamati da mia figlia, lo hanno arrestato».
Si è sentito protetto dai carabinieri?
«Il maresciallo, un sant’uomo, dà il suo cellulare a mia figlia: “Chiamami in ogni momento, notte e giorno, se c’è bisogno”. Un padre di famiglia. Prontissimi sempre tutti i carabinieri, ma forse dovevamo fare noi tutti di più, anche protestando per le leggi balorde di questo Paese, per la disattenzione finale...».
Che cosa non ha funzionato, secondo lei?
«Trovano un pazzo di catena che spia dal camino o con i Gps, un violento che picchiava la ragazza, sempre coperta da foulard e mascariata di fard, e che fanno? Dopo una notte in caserma, il 7 giugno, un martedì, e una di interrogatorio, arriva il giudice e lo manda a casa con gli “arresti domiciliari”.
Inutili. Perché tre giorni dopo, il sabato, era il 13 giugno, ce lo ritroviamo tra i piedi, ma con un provvedimento altrettanto inutile: l’obbligo di non avvicinarsi a mia figlia per 200 metri. È questa l’Italia che vogliamo? Davvero pensano che da 200 metri non si possa fare male? Oppure che un pazzo come questo non possa armarsi e sparare da tre metri? Se lo consideravano malato dovevano rinchiuderlo in una comunità e curarlo. Non lasciarlo praticamente libero di fare tutto».
Da metà giugno le minacce si erano affievolite?
«Per due mesi non lo abbiamo più visto. Ma 15 giorni di pace c’erano stati anche mentre si appollaiava nel sottotetto. Si sarà placato, speravo. E forse nelle ultime settimane lo ha sperato anche Vanessa che, fino a prima di Ferragosto, continuava a vivere da reclusa, con il terrore di incrociarlo. Com’è poi accaduto in questa notte che resterà l’incubo anche per i figli dell’assassino».
Aveva figli?
«Un maschietto di 10 anni e una bimba di 5. Dal primo matrimonio. E mia figlia che l’anno scorso li faceva giocare, comprando loro regalini, quando non aveva capito di avere a che fare con un pazzo...».
2 - AVEVA DENUNCIATO L'EX: LUI LA UCCIDE PER VENDETTA POI SCAPPA E SI IMPICCA
Lara Sirignano per “il Messaggero”
L'ha avvicinata mentre passeggiava con gli amici e ha tirato fuori la pistola puntando dritto alla testa. Vanessa Zappalà, 26 anni, ha cercato di scappare, ma lui l'ha afferrata per i capelli e ha fatto fuoco. Sette colpi sparati con una calibro 7,65 che non hanno lasciato scampo alla ragazza, morta domenica notte sul lungomare di Acitrezza, frazione marinara di Aci Castello in cui Verga aveva ambientato i suoi Malavoglia.
L'assassino era a volto scoperto. Le amiche della comitiva di Vanessa lo hanno riconosciuto subito. Sono state loro a dire ai carabinieri che a uccidere la ragazza era stato Tony Sciuto, 38 anni, ex fidanzato della vittima, un violento che per mesi aveva perseguitato la giovane donna.
LA DENUNCIA
Vanessa aveva scelto di denunciare. Stanca di subire, grazie al sostegno dei genitori, aveva lasciato quell'uomo ed era andata dai carabinieri. Tony era stato arrestato per stalking l'8 giugno: qualche settimana di domiciliari, poi la revoca della misura e il divieto di avvicinarsi alla donna.
Fino alla sera della tragedia, una tragedia annunciata che molti temevano. Fuggito dopo aver sparato, Sciuto è stato trovato morto ieri sera. Si è impiccato nella casa di campagna a Tracastagni, il paese del catanese in cui viveva. Sul muro ha lasciato scritte poche parole di scuse ai genitori. Alle amiche preoccupate per lei, la giovane donna diceva di stare tranquille. «Non mi fa niente, è soltanto geloso», le rassicurava. Ma Tony era ossessionato dalla ragazza e non si era rassegnato alla fine della relazione.
Tanto da costringere Vanessa a rivolgersi ai carabinieri. Nella sua pagina Facebook ora suona come un tragico avvertimento - un post con la foto di un uomo con la scritta «I love you» tatuata che punta la pistola alla tempia di una ragazza. Una percezione malata dell'amore che ha determinato il folle gesto.
L'AGGUATO
Sciuto è arrivato in auto. Vanessa era con quattro amiche. Quando lo ha visto ha tentato di fuggire, ma lui l'ha raggiunta, uccidendola. Una delle ragazze che era in compagnia della vittima è rimasta ferita di striscio. I passanti terrorizzati hanno chiamato il 112. La caccia all'uomo è scattata subito: allertati aeroporti e porti e monitorate tutte le possibili vie di fuga. La Procura di Catania ha reso nota l'identità del ricercato e diffuso anche due sue foto.
Ma Sciuto non ha lasciato la provincia e si è suicidato impiccandosi. A trovare il corpo sono stati i carabinieri che hanno individuato la macchina presa a noleggio su cui l'uomo era fuggito. All'interno, alcuni proiettili. I vicini di casa della ragazza, che lavorava in un panificio, raccontano di molestie ripetute. Tony aspettava per ore davanti casa la ex, la insultava. Il profilo Fb pieno di immagini di Scarface e la celebre frase Io non dimentico nulla, aspetto solo il momento giusto. Segnali inquietanti alla luce della tragedia della notte scorsa.
LA FAMIGLIA
«Era convito di essere il suo padrone», accusa il papà di Vanessa, che ricostruisce la dinamica dell'omicidio: «Lei ha cercato di scappare e lui l'ha tenuta per i capelli e le ha sparato». Dopo la denuncia della vittima, Sciuto era stato arrestato. «Era stato messo ai domiciliari - ricostruisce il colonnello Piercamine Sica, comandante del Reparto operativo del comando provinciale - ed è stato scarcerato dal gip che aveva disposto il divieto di avvicinamento».
Un provvedimento che non è bastato a scongiurare il delitto. «A che serve denunciare?», si chiedono in molti sulla pagina Fb di Vanessa. Decine i post degli amici, molti gli insulti a Sciuto e le richieste di pene più severe per i reati contro le donne. Simona Suriano, deputata del gruppo Misto, chiede «misure più stringenti, pene certe e sorveglianza speciale per chi si macchia di delitti contro le donne».
Per la senatrice di Fi Urania Papatheu, componente della commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, «è disgustoso vedere ancora morire donne nel silenzio, con la complicità delle istituzioni. Siamo tutti colpevoli, i numeri ci indicano che il sistema Paese ha fallito». Mentre Roberto Calderoli, della Lega, parla di donne «italiane uccise dai nostri Talebani, dai nostri fanatici assassini» e aggiunge: «Chi mette in pericolo la vita di una donna deve andare in galera e restarci finché è pericoloso». Lara Sirignano