“ERA STESO SOPRA DI ME. MI HA FATTO MALE” – IL RACCONTO DELLA 15ENNE STUPRATA DA UN COETANEO DURANTE UN FESTINO A BASE DI VODKA E VINO IN UNA CASA DI REGGIO EMILIA – LA VITTIMA ERA UBRIACA E AVREBBE VOMITATO DIVERSE VOLTE. AGLI ATTI C’È SCRITTO CHE “TUTTI E TRE I RAGAZZI HANNO AVUTO RAPPORTI SESSUALI CON LA MINORE”, MA LEI NE RICORDA SOLO UNO: “ERO IMPOTENTE, NON RIUSCIVO A MUOVERMI. CREDEVO FOSSE UN AMICO…”

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Pierangelo Sapegno per "la Stampa"

 

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Hanno 15 anni. La vittima è lei, che davanti al giudice piange senza capire, «credevo fosse un amico», dice. Dalla casa del suo «amico» mandava messaggi disperati alla sorella più grande: «Aiuto», «Vieni a prendermi». Stupro di gruppo, forse. Agli atti c'è scritto: «Come sembra, tutti i ragazzi presenti hanno avuto rapporti sessuali con la minore». Ma lei ne ricorda uno solo: «Lui era steso sopra di me. Mi ha fatto male. Ero impotente e non riuscivo a muovermi».

 

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Anche lui ha quindici anni. Quando arrivano i carabinieri si nasconde dietro la casa e chiama al telefono suo padre che lo venga a salvare. Prima aveva mandato dei messaggi whatsapp a uno degli altri due che erano insieme a loro in quella casa: «Fra', questa è da due ore che parla di stupro... siamo nella merda». Mandala a casa, gli ha risposto quello. «Fra', aiutami». «Fra'» è la versione italiana di «Bro», l'abbreviazione di fratello, nel gergo sincopato della generazione Zeta, quella della globalizzazione e dei figli di questi deserti che ci crescono intorno. Gli altri messaggi li ha cancellati, ma i carabinieri li stanno recuperando. Hanno tutti 15 anni.

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Come i ragazzi di Lucca che si sono dati appuntamento attraverso i social sulla sponda del fiume Serchio per prendersi a bastonate senza un motivo e siccome le mazze non bastavano hanno tirato pure fuori un coltello, che ha reciso l'intestino a uno di loro, un quindicenne, ricoverato in prognosi riservata. Come i cinque ragazzi di Pinerolo che hanno gettato per scherzo un masso di otto chili dal cavalcavia dell'autostrada, sfondando il cofano di una vettura di passaggio.

 

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Come quelli che in chat divulgano materiale pedopornografico o inneggiano al nazismo, appena scoperti in mezza Italia dalla Polizia postale. C'è una cosa che accomuna sempre tutte queste espressioni di violenza: l'incapacità di coglierne il senso, di riconoscere le regole e i confini attorno alla loro vita. La cronaca dice che è capitato venerdì scorso a Reggio Emilia.

 

Cinque ragazzi, compagni di classe, due femmine e tre maschi. Non vanno a scuola e decidono di fare festa, nell'appartamento di uno di loro: genitori separati, la mamma è al lavoro. Casa libera, vodka, vino e alcol a volontà. A un certo punto una delle ragazze resta da sola con i tre compagni, perché l'altra ha voluto andarsene via. L'incubo per lei comincia adesso. Le testimonianze dicono che «ha vomitato un mucchio di volte», che stava male. Lei è completamente ubriaca, non si rende conto perfettamente di quello che succede.

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Ma a un certo punto ha male, urla. È come se si svegliasse con il corpo nudo del suo amico sopra il suo. Piange, chiama la sorella supplicandola di aiutarla, le scrive: «Voglio solo te. Vieni a prendermi». Quando lei arriva sono all'incirca del tre pomeriggio. La sua chiamata al 112 è delle 15,20: «Sono in strada con mia sorella. È stata stuprata». I carabinieri arrivano subito, lei è sotto choc, indica la casa dove è stata stuprata e fa il nome del suo compagno. Fa solo il suo, gli altri non lo sa, non li ricorda. I carabinieri vanno alla casa, la porta è aperta, entrano, ma dentro non c'è nessuno. Lui è nascosto lì dietro, con il cellulare in mano che sta parlando con il papà, mentre sta gettando via le bottiglie di alcol nei cassonetti dell'immondizia.

 

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La giovane vittima viene portata in ospedale. Le riscontrano un tasso alcolemico molto alto, sebbene siano già passate otto ore, ed «ecchimosi bluastre», che confermano le sue accuse. Il ragazzo, invece, spiegano gli inquirenti, «è sobrio». Viene portato al centro di prima accoglienza di Bologna, ma da lunedì, dopo l'udienza di convalida davanti al giudice del tribunale dei minorenni, si trova ai domiciliari. Reato di violenza sessuale, aggravato dall'aver approfittato di una minore, per di più in condizioni di debolezza fisica e psichica. Gli sono stati concessi i domiciliari, dice il suo avvocato, Giacomo Fornaciari, anche perché è incensurato. Sono tutti ragazzi di buona famiglia.

 

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Sono sempre ragazzi di buona famiglia, lo erano anche negli altri casi che ci tocca raccontare con la stessa vergogna e lo stesso fastidio. Henning Koheler, terapeuta per l'infanzia e l'adolescenza, fondatore di una scuola che ospita ragazzi difficili, sostiene che i tratti comuni della loro violenza siano la sofferenza e la noia. Sono ragazzi che vedono la vita come una lunga linea grigia, inutile, ripetitiva, senza significato. Sono come dei deserti, aridi e silenziosi. Dietro a un ragazzo violento, sostiene Koheler, «non c'è la colpa delle famiglie, ma la responsabilità del come li facciamo vivere». Ma se è così, non è una assoluzione. È una chiamata di correo. Intanto però che cosa facciamo per proteggere le vittime?

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