Adelaide Pierucci e Alessia Marani per www.ilmessaggero.it
Un po’ playboy, un po’ gigolò: è nella vita spregiudicata tra sesso e soldi di Stefan Iulian Catoi, il romeno di 26 anni, indiziato dell’assassinio dell’ex campionessa d’atletica tunisina, Imen Chatbouri, 37 anni, che gli inquirenti stanno cercando la chiave del delitto. Ma che cosa ha spinto il giovane a odiarla tanto fino al punto di pedinarla nella notte, appostarsi dietro a un’auto parcheggiata sul lungotevere e poi materializzarsi silenzioso alle sue spalle per afferrarla dalle caviglie e scaraventarla oltre il muraglione, giù sulla banchina?
Quando Imen - Misciù come la chiamavano tutti - beveva, diventava violenta, aggressiva, lo ha ripetuto tante volte chi la conosceva bene e anche quella notte, tra il primo e il 2 maggio, dopo avere trascorso gran parte della giornata e della serata insieme con il fidanzato olandese e lo stesso Stefan, non sarebbe stata tenera, né con l’uno, né con l’altro.
LA LITE
Imen, secondo quanto ricostruito dagli investigatori della Squadra Mobile diretti da Luigi Silipo, si sarebbe incontrata con loro poco prima delle cinque del pomeriggio in un bar in zona Battistini, quartiere a Nord-Ovest della Capitale, ma gli sguardi complici e ammiccanti tra Imen e Stefan avrebbero via via mandato su tutte le furie l’olandese che all’1.30 della notte li ha lasciati soli in un bar di piazza Venezia. Nelle due ore successive si scrive la condanna a morte per Misciù. Probabilmente i due si appartano, litigano, nella testa di Stefan frulla la folle idea di vendicarsi. Le telecamere del lungotevere riprendono la spinta fatale alle 3.20: è la prova regina.
I poliziotti hanno raccolto più testimonianze, scandagliando gli ambienti di Villa Borghese e Valle Giulia, terreno dei “ragazzi di vita” che fanno la spola dalle periferie al centro della città per racimolare denaro. Imen lavorava spesso nei night tra Corso Vittorio e via Veneto, anche Stefan frequentava locali e bella vita. Forse il ragazzo potrebbe aver proposto alla nuova amica un rapporto a tre o peggio di fare dei “lavori” con lui suscitando la sua reazione. Imen in questo periodo, però, aveva meno bisogno di soldi che in passato: aveva appena ottenuto il reddito di cittadinanza che si sommava a una piccola pensione di invalidità.
Stefan pensava di farla franca, incredibilmente. I poliziotti temevano che lui fosse già tornato in Romania, invece aveva solo spento e mai più riacceso il suo telefonino (anche quello di Imen è sparito) e continuava ad andarsene in giro nei luoghi che frequentava anche Imen. Sabato è stato così fermato dalla polizia in un bar in via Anastasio II e si è mostrato sorpreso: «State facendo un errore. Non so nemmeno perché mi state arrestando». Entro domani sarà sottoposto all’interrogatorio di garanzia. Spetterà, sempre al giudice che lo sentirà, emettere o meno nelle prossime ore la misura cautelare in carcere sollecitata dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal pm Antonio Verdi. Si tratta di un passaggio giudiziario cruciale. Se dovesse essere confermata l’ipotesi di reato dell’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, il caso si avvierebbe verso un possibile ergastolo.
«LUI LE DONNE LE AMA»
Gli inquirenti hanno un asso nel filmato, quando l’assassino a passo svelto, ma senza correre o barcollare (quindi all’apparenza non in stato di ubriachezza), si avvicina alla ragazza e, senza darle il tempo di reagire, la butta giù. Florin, un cugino di Stefan in Romania, non crede che possa essere un assassino: «Lui le donne le amava, non le uccideva», spiega. Su uno dei tanti profili Facebook, quasi dei book fotografici, Stefan compare abbracciato a una donna molto più grande a Ponte Sant’Angelo, «hai fatto bene a cambiare la foto del profilo», scherza in un post un’amica romena, «per non dire al mondo che stai con una nonna». Selfie sul letto, con i soldi sul comodino o nei bar della movida, con birre e cocktail in mano, altri vicino a berline di lusso. Quella Dolce Vita che, forse, per Imen ha voluto dire la morte.
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