Estratto dell’articolo di Flavio Vanetti per il “Corriere della Sera”
Oltre a non aspettarsi la reazione, l’aggressore non conosceva i suoi trascorsi di sciabolatore e di c.t. vincitutto della scherma (dagli anni 70 agli anni 90 ha contribuito a un’infinità di trionfi), dotato di una grinta e di una personalità grandi come una casa.
Così adesso Attilio Fini, classe (di ferro) 1930, può scherzarci su: «Soprattutto — dice ridacchiando — il tizio ignorava che in pedana ho divorato il fegato a tanti arbitri».
Lunedì sera, piazza De Agostini a Milano, «proprio di fronte a casa mia: stavo rientrando dopo aver fatto due passi», il Grande Vecchio delle lame, di natali bolognesi, passato alla scherma perché la mamma non voleva che prendesse freddo nel seguire le orme del padre calciatore, vede avvicinarsi un figuro minaccioso. Mal gliene incolse, al figuro… Racconti pure, Fini…
«Mi sono accorto che mi stava puntando una pistola. In quel momento mi ha intimato: “Dammi i soldi o l’orologio”. Gli ho dato un cazzotto in faccia, poi un colpo sulla mano che ha fatto schizzare via la rivoltella e infine uno spintone: è finito incastrato tra alcuni motorini. Sono arrivati due ragazzi e hanno immobilizzato l’uomo in attesa della polizia. Era un algerino, nel suo Paese era ricercato per omicidio: non una cosuccia».
Possiamo dire che è stata una parata e risposta?
«Più che altro è stato un attacco sul tempo dell’avversario. Come nella sciabola, quando devi bruciare il rivale sullo scatto. Il mio passato mi ha aiutato: in pedana servono decisione e riflessi». […]
Era ubriaco o fuori di sé, in ogni caso poco lucido?
«No, tutt’altro. Sapeva benissimo quello che faceva. Ma non si aspettava la mia reazione: l’ho colto di sorpresa». […]
I suoi familiari, invece, l’hanno «sgridata», giusto?
«Mi hanno detto che avrei fatto meglio a dargli quel che chiedeva. Forse hanno ragione, ma vi dico una cosa: è la prima volta che ho vissuto un fatto del genere e mi auguro non capiti più; eppure se dovesse succedere di nuovo, rifarei tutto». […]