Estratto dell’articolo di Giulio Pinco Caracciolo per “il Messaggero”
«Mi sono inventata tutto, ma avrei preferito di gran lunga che lui mi colpisse con un coltello: meglio una coltellata di tradimento». Con questa testimonianza shock Alessandra (nome di fantasia) ha ritrattato le sue denunce davanti ai giudici della quinta sezione collegiale. Aveva accusato il compagno L.G. di 53 anni per maltrattamenti reiterati nel tempo. In un anno, 2022-2023, numerosissime le richieste di intervento arrivate alle forze dell'ordine.
Presa per i capelli con violenza, strangolata, testa sbattuta ripetutamente contro il tavolo, costretta a subire vessazioni di ogni tipo. E ancora minacce di morte, cacciavite e coltello puntati alla gola, schiaffi, occhiali rotti, ecchimosi e lividi su tutto il corpo. Questo il quadro spaventoso che era emerso dalle parole della donna, portando prima a un divieto di avvicinamento e poi, dopo le indagini, alla custodia cautelare in carcere in attesa di giudizio per l'ex compagno della donna, che è ancora a processo.
Ieri in aula la sedicente vittima, che potrebbe rischiare l'accusa di calunnia, ha esordito in lacrime e spiazza tutti: «Ho inventato tutto io perché ero gelosa e sospettavo mi tradisse. Poi con il passare del tempo me ne sono pentita tantissimo. Ho riflettuto a lungo su quello che ho fatto e soprattutto sulle motivazioni che mi hanno portato a dire delle cose del genere».
Dice di essere attualmente in cura da uno psicologo per capire le motivazioni che l'hanno portata a inventare una cosa del genere. «[…] Ho fatto andare in carcere una persona e questa è una cosa gravissima […] Soffro di sanguinamento dal naso, di epistassi, e in quel periodo utilizzavo quel sangue per fingere di essere stata picchiata […]». Una versione che non convince totalmente gli inquirenti. Alcuni episodi in particolare dimostrerebbero che in quella casa probabilmente non si respirava un clima tranquillo e sereno nonostante le parole della presunta vittima.
Tra i numerosi interventi delle forze dell'ordine, in quella casa alla periferia di Roma, infatti c'è una chiamata da parte dei vicini che una sera hanno sentito delle urla provenire dall'appartamento. «Stavamo guardando un film horror - replica lei cercando in continuazione lo sguardo dell'imputato - E io avevo paura quindi ho iniziato a urlare.
Quando i carabinieri sono intervenuti si sono messi a ridere. Poi il problema è che i miei vicini sono anche i proprietari del mio appartamento e adesso, dato che la figlia è incinta, stanno facendo di tutto per riprendere la casa e darla a lei per questo mi hanno messo in difficoltà».
[…] «Credo che lui in fondo mi abbia sempre amata e mi diceva che saremmo tornati insieme». Un comportamento quello di Alessandra riscontrato in tante donne vittime di violenza che ritrattano per paura di perdere la persona amata.
Un meccanismo psicologico contorto e difficile da dimostrare. Infatti i giudici vogliono vederci più chiaro e chiedono di sentire nella prossima udienza i testimoni e i numerosi carabinieri intervenuti in seguito alle richieste di aiuto della donna. E quando alla luce delle nuove dichiarazioni viene richiesta e accordata la revoca della misura cautelare in carcere, Alessandra chiede che l'imputato torni subito a vivere a casa con lei: «Lui non ha fatto nulla. Se c'è qualcuno che deve chiedere scusa sono, ti prego amore perdonami».